Rai 2 l’ha fatto davvero: UFO Robot Goldrake torna in preserale, ogni domenica alle 18.55. Dopo il successo ottenuto il 5 ottobre, la tv nazionale ha deciso di stabilizzare in palinsesto la serie cult che nel 1978 fece impazzire bambini, adolescenti e qualche adulto che oggi combatte più con la cervicale che con Vega.
Settantuno episodi lucidati come la carrozzeria di una Fiat 126 d’epoca, più tre inediti mai visti prima sulla Rai: un evento storico, per chi ancora si emoziona sentendo “Alabarda spaziale!” e si chiede se Actarus sia ancora così serio o se finalmente abbia imparato a sorridere.
La verità è che il boom di boomers davanti alla TV la domenica sera si è capito subito. D’altra parte, dove vuoi che siano i quarantenni (e i cinquantenni travestiti da trentenni) la domenica pomeriggio? Sono lì, immobili, in tuta o con il pigiama stinto, il plaid sulle gambe e il telecomando perso nei meandri del divano. Ogni volta che provi a cercarlo tra i cuscini, spunta di tutto: una borsa fiorata Naj Oleari, le chiavi del Ciao, forse un biglietto del concerto di Sandy Marton del ’89 — ma il telecomando, quello mai.
E mentre i figli scrollano TikTok in overdose di “Brainrot”, ecco che mamma e papà si concedono il loro Goldrake. Il Ninna e Matti della Generazione Alpha ma con più raggi protonici e meno slime colorati. Un “Paw Patrol” d’autore, con sigla cantabile anche dal più rigido degli stempiati in giacca e cravatta ai matrimoni, quando il pianobar attacca:
“Mangia libri di cibernetica, insalata di matematica e a giocar su Marte va… Lui respira nell’aria cosmica,
e’ un miracolo di elettronica, ma un cuore umano ha… Ma chi e’, ma chi e’”.
Ed è subito pista da ballo improvvisata, con zii, cognati e cugini che fanno mosse da disco volante con il bicchiere in mano.
Perché Goldrake non è un robottino qualsiasi.
È un simbolo nazionale, un punto fermo nell’animazione giapponese in Italia, l’inizio di tutto: del culto degli anime, dei pomeriggi davanti alla TV con il latte e i biscotti Atene a tre buchi, di Please Don’t go ballato in modo isterico dalle ragazze di Non è la Rai.
E così, mentre Rai 2 rispolvera il suo eroe spaziale, l’effetto nostalgia fa di nuovo centro. Perché, diciamolo, la malinconia funziona sempre. È la coccola morbida della domenica, quando fuori piove e dentro ci chiediamo se siamo più pronti per un aperitivo in centro o per una visita alla prostata.
È la stessa malinconia che fa trionfare La Ruota della Fortuna, con i suoi “gira la ruota” che fanno girare pure i nostri ricordi di quando la prima serata in tv cominciava alle otto e non alle dieci e mezza quando ormai siamo già svenuti in poltrona.
La tv degli ultimi tempi sembra un gigantesco déjà-vu: Goldrake, La Ruota della Fortuna, e persino quest’estate Sarabanda con uno sbrilluccicante Enrico Papi che, con tutto l’affetto, avremmo potuto anche risparmiare. Ma il revival piace, rassicura, consola. Perché la nostalgia è la borsa di acqua calda della nostra inquietudine: scalda, ma certe volte non ti fa muovere.
E forse è proprio questo il punto. La TV ci riporta indietro, ma noi continuiamo a restare lì, sul divano, avvolti nella coperta dei ricordi, convinti che il passato avesse una sigla migliore, colori più caldi, e un futuro che sembrava più semplice. Il revival, insomma, funziona. Funziona eccome.
E mentre Goldrake decolla di nuovo verso lo spazio, noi restiamo qui, a guardarlo andare via. Col plaid sulle gambe e un sorriso un po’ stanco. Perché sì, la malinconia, in fondo, fa sempre un sacco di compagnia.
Ma il rischio è quello di restare impantanati in un eterno presente che guarda solo all’indietro. La nostalgia ci coccola, ci accarezza, ci fa sentire al sicuro — ma a volte ci immobilizza. E allora Goldrake torna, La Ruota gira, i jingle anni ’80 risuonano più forti che mai, ma qualcosa si inceppa se quel passato diventa l’unico orizzonte.
Il problema non è il vintage, è restarci dentro senza uscirne mai. È trasformare il ricordo in rifugio permanente, invece che in trampolino. La trappola non è la memoria ma è l’assenza di uno sguardo nuovo. Vale per la TV, che troppo spesso preferisce riesumare piuttosto che rischiare. Riproporre vecchi format piuttosto che investire in nuovi progetti.
Ma vale anche per noi. Perché continuare a vivere di quello che eravamo molte volte può diventare una scusa per non provare a immaginare quello che potremmo essere.
E allora va bene Goldrake, va bene la sigla cantata a squarciagola con gli occhi lucidi.
Ma poi serve anche qualcosa che ci faccia alzare dal divano, spegnere il televisore, e guardare avanti.
Non solo fuori dalle nostre finestre ma anche un po’ dentro di noi.