Flaherty: quando un maestro va alla Grande Guerra
Il padre lo voleva a bottega, lui voleva fare il maestro e diventare così una persona importante. Peccato essersi persi Lorenzo Flaherty a Galleria Toledo con “Solo una vita”, perché ha donato al pubblico napoletano una piccola perla di teatro, con la storia di un eroe qualunque costretto a misurarsi con la Grande Guerra.
Antonio Trentin è un giovanotto semplice, che sogna solo di avere un posto fisso come insegnante e una donna accanto per la vita. Ha bisogno d’amore e d’amicizia, vuole l’abbraccio della mamma e l’affetto e l’approvazione del padre, vuole sapere che per lui c’è un futuro migliore. Flaherty ci fa entrare nei pensieri e nei sentimenti del suo personaggio muovendosi da solo sulla scena, dove l’ausilio di video e di voci fuori campo mettono dentro tutto ciò che non c’è: dal bar con l’amico del cuore, al professore cui scrive citando il “carpe diem” di Orazio, alla ragazza misteriosa che non riesce mai a conoscere (impersonata dalla regista della pièce, Monica Massone, che ne firma anche la drammaturgia), fino alla famiglia invisibile dove c’è anche una sorella che vuole fare la modista. Il 56enne attore italo-irlandese, volto noto di film e fiction televisive, è credibile nei panni del giovanotto di provincia che vorrebbe sottrarsi al richiamo delle armi e trova estraneo un concetto di una “patria” che chiede ai suoi ragazzi di andare a morire per ideali astratti e incomprensibili.
Con il suo antieroe sempliciotto e un po’ ingenuo, che va in chiesa a promettere di non uccidere nessuno in battaglia, Flaherty ci fa entrare nella finzione della propaganda, smaschera il finto patriottismo, in nome di una collettività che non esiste, di una democrazia che non produce benessere ma solo giovani vittime mandate al massacro. Lo aiutano i suoni originali delle battaglie combattute tra il 1915 e il 1918 e la musica elettronica, che contribuiscono a dare un senso diffuso di disagio e di estraneità a una vita che non si è potuti scegliere fino in fondo.