Gifuni e il teatro civile
Il teatro è uno spazio di libertà per Fabrizio Gifuni, eroe laico di un’Italia senza memoria, dove la storia ormai è una parola con la “s” minuscola.
L’attore romano ha meritato dieci minuti di applausi nell’ultima delle tre giornate di messinscena al teatro Nuovo di Napoli per il suo monologo “Con il vostro irridente silenzio” (che mercoledì 21 febbraio sarà al Verdi di Salerno) dedicato agli ultimi giorni di Aldo Moro e a un pezzo del nostro passato più duro. Gifuni ruba la scena a se stesso, presentandosi al pubblico in completo grigio e camicia bianca, per parlargli di chi era Moro: presidente della Democrazia Cristiana che aveva come colleghi di partito Francesco Cossiga (ministro degli Interni) e Giulio Andreotti (presidente del Consiglio) e che cercò, fino al momento del suo rapimento ad opera delle Brigate Rosse, di conciliare la dicotomia tra la prospettiva filoamericana e quella sovietica nel Paese. Gifuni ridà vita alle parole di Aldo Moro attraverso le lettere e il memoriale, frutto del “processo” delle Brigate Rosse avvenuto nei 55 giorni di prigionia, dopo il rapimento del 16 marzo 1978.
E anche chi in quell’epoca non era nato o era appena bambino, si ritrova immerso nella tragedia di un uomo solo che è anche il dramma di un’Italia intera, con alcuni passaggi molto delicati, tra cui la condanna morale alla classe politica di allora e il conflitto tra Israele e Palestina già allora così presente negli equilibri mondiali. Come già nel film “Esterno notte” di Marco Bellocchio, anche in teatro Fabrizio Gifuni si trasforma totalmente in Aldo Moro e non interpreta le lettere, le sente sue, sudando, arrabbiandosi, intenerendosi quando sono dirette alla moglie del leader Dc e alla sua famiglia, mettendo insieme con passione e compartecipazione emotiva i pezzi di un’autobiografia che è personale e, al tempo stesso, di un’intera nazione.
E se a tratti si fa fatica a ricostruire nella mente nomi e fatti che furono oltre 40 anni fa, la piéce coinvolge al punto da risvegliare degli interrogativi. Chi fu a sparare, che fine hanno fatto i brigatisti ad esempio. Che volevano in cambio di Aldo Moro? Qual è la sua eredità morale e politica? C’è un furore sottile dietro la recitazione di Gifuni, una sorta di voce parallela a quella delle parole di Moro. Ed è il furore di chi denuncia un’ingiustizia, di chi non si vuole piegare al conformismo del silenzio, di chi, come lui, crede che il teatro serva anche per riflettere e fare memoria.