Sabato, 16 Novembre 2024

Sono Lucrezia e le battute sessiste a lavoro non mi fanno ridere

«Sono Lucrezia, l’altro giorno in pausa pranzo bevevo una bibita in lattina, il mio responsabile mi ha detto “sei brava con la cannuccia!” E ha riso. Tutti al tavolo hanno riso. Io però non ho riso, non sapevo cosa dire, avrei voluto metterlo al suo posto ma ho avuto paura di essere considerata “esagerata”. In fondo era solo una battuta. Però la lattina non la prendo più…»

In fondo era una sola battuta che evidentemente non ha fatto ridere Lucrezia e se per un attimo proviamo a considerare il contesto forse non fa ridere nemmeno noi.

A fotografare la situazione è l’indagine di Fondazione Libelulla che da anni lavora per prevenire e contrastare la violenza sulle donne e la discriminazione di genere.

Lo studio ha dato voce a oltre 4.300 lavoratrici e libere professioniste in tutta Italia con l’obiettivo di raccontare lo stato dell’equità di genere nel mondo del lavoro italiano (la compilazione è avvenuta nel marzo 2022 attraverso un questionario anonimo).

I risultati sono allarmanti: una donna su due si dichiara vittima di un’esperienza diretta di una o più forme di molestia e discriminazione sul lavoro.

Praticamente un’allusione volgarotta barra battutina a doppio senso è il minino che possa a accadere ad una lavoratrice.

Che poi mica è facile fronteggiarle le battutine: se una non risponde ci sta (e allora poi ciao che manco i peggiori bar di Caracas!), se una prova a rispondere allora è pesante, permalosa e aggressiva.

Per non parlare poi della carriera: per gli uomini è più facile e veloce crescere e vedere riconosciuti i propri meriti. Arrivano di più e prima a posizioni di potere, ciò fa sì che in azienda la leadership diffusa sia prevalentemente al maschile. La carriera della donna - quando presente – è spesso interpretata alla luce di altri fattori rispetto al merito o alla competenza, come quelli seduttivi.

«Chissà quanti se ne sarà fatti per arrivare fino a li» è l’idea predominante quando si vede una donna che occupa un posto di rilievo.

Altro tema caldo è la maternità: vi ricordate quello che disse Elisabetta Franchi sulla scelta dei manager e dei giri di boa?

La celebre stilista nel corso di un’intervista rivelò  placidamente di non assumere donne giovani per il timore che possano avere figli (qui l’articolo).

In effetti anche lo studio della Fondazione conferma il triste trend: la maternità si conferma uno stop al percorso di crescita e carriera per le donne e nei contesti di lavoro è diffusa la cultura della genitorialità come esperienza esclusivamente femminile.

Sono tante le donne che dichiarano la loro difficoltà nel comunicare serenamente ai datori di lavoro la propria gravidanza: «Mi chiamo Luisa, sto aspettando il secondo bambino ma non so come dirlo a lavoro, un’altra mia collega ha dato notizia della sua gravidanza e ho sentito i commenti: “Adesso chi la vede più? Ha finito di lavorare!” – “Un bambino? Di già? Ma si è appena sposata!”. E cosa diranno di me che sono di nuovo incinta? Come farò a dirlo?»

Niente di nuovo, direte.

Ed è esattamente questo il nodo da sciogliere: nessuno si stupisce, sgrana gli occhi, tanto è normale.

Quello che ha rilevato la Fondazione Libellula è un problema culturale che va affrontato con coraggio e senza mezze misure.

Sono tante le questioni legate a questo atteggiamento: dalla parità retributiva alla disoccupazione femminile, fino alla completa mancanza di meritocrazia in molti comparti dell’economia.

È necessario prima di tutto che la politica faccia riforme a sostegno dell’occupazione delle donne, investa nel welfare familiare  e favorisca l’imprenditoria femminile.

Ma la vera rivoluzione deve partire da noi, tutti noi.

Evitare insinuazioni, doppi sensi e pure quelle battute che no, non fanno più ridere.

Anzi non hanno mai fatto ridere.

Nemmeno nel Medioevo.

Giovanni Salzano
Author: Giovanni Salzano
Esperto di social media management, cura la rubrica di opinione Società.

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