Venerdì, 26 Aprile 2024

Giornata della felicità, quello stato di grazia che a volte fa paura

La felicità è uno stato di grazia: quel benessere psicofisico, che coinvolge mente e corpo, passando per la piena soddisfazione delle nostre aspettative, cui tutti, chi più chi meno, aspiriamo. Una sensazione o uno stato mentale che può anche spaventare: c’è proprio una parola con cui si fa riferimento alla paura della felicità ed è “cherofobia”. «Come te la spiego la paura di essere felici. Quando non l'hanno capita nemmeno i miei amici?», cantava qualche anno fa la giovanissima Martina Attili, lei che di “apparenti motivi” per sfuggire dalla felicità non ne aveva.

Ne parliamo con la psicologa e psicoterapeuta Teresa Bruno proprio oggi, nella Giornata mondiale della felicità, ricorrenza nata per farci riflettere sul valore della felicità nelle nostre vite, valore che dovrebbe diventare un diritto uguale per tutti e che ha a che fare non solo con la sfera privata ma anche con quella pubblica, vale a dire con le condizioni oggettive che la rendono possibile.

Partiamo dalla felicità: come possiamo definirla?

La felicità è l’emozione che ci aiuta a vivere nella maniera più serena possibile - quindi senza tensioni, in uno stato di benessere - il nostro tempo, conciliando le esperienze esterne con il nostro sistema di valori, le nostre sensazioni fisiche e mentali. Potremmo definirla come la congiunzione armonica tra ciò che succede fuori e quello che sentiamo. Si potrebbe quindi tradurre come la capacità personale di raggiungere uno stato mentale fisico e positivo piacevole, sperimentare la gioia data dall’armonia tra il dentro e il fuori.

Che cosa è invece la cherofobia?

Si tratta della paura della persona ad essere felice e a vivere situazione positive, vale a dire situazioni gradevoli che la facciano stare bene. Sembra strano ma non lo è: ci sono persone che vivono meglio in uno stato di tensione che di felicità. Questo accade principalmente perché non si riescono a lasciare andare, hanno difficoltà ad abbandonarsi alle emozioni, ad ascoltarsi davvero.

In che senso?

Azioni che fanno stare bene, come ad esempio, una cena tra amici o una passeggiata al mare, possono trasformarsi per chi è cherofobico in altro. Non riuscendo a lasciarsi andare, ovvero a conciliare mente e corpo, queste persone finiscono per fuggire da queste occasioni di benessere e gradevolezza, si auto-sabotano e ritornano allo stato precedente, caratterizzato da sensazioni di rabbia, tristezza, tensione, perché lì si sentono più al sicuro.

Può farci un esempio pratico?

Prendiamo una coppia di coniugi che litigano spesso. Nel momento in cui si troveranno da soli, magari quando hanno un momento di relax per sé, senza figli, in una situazione che dovrebbe essere per loro gradevole, sono talmente abituati al conflitto, che non riescono ad abbandonarsi, ad ascoltare davvero ciò che sentono, perché questo li dovrebbe portare a prendere una pausa da quel modo di percepirsi. Così finiscono per riprodurre le consuete dinamiche, perché in quelle si riconoscono più facilmente. Insomma, è come stessero meglio nella rabbia che nelle situazioni piacevoli.

Come si riconosce la paura della felicità?

È possibile riconoscerla dai sintomi che si ravvisano in corrispondenza di quelli che dovrebbero essere momenti felici o dalle strategie difensive che il soggetto mette in atto in questi casi attraverso sensazioni di ansia, angoscia, depressione. Insomma, ce ne accorgiamo quando ci crogioliamo nel disagio in situazioni che dovrebbero invece provocarci agio.

Maria Nocerino
Author: Maria Nocerino
Sociologa e giornalista professionista, è specializzata nel giornalismo sociale. Ha collaborato con l’agenzia di stampa Redattore Sociale e con il quotidiano Roma per le pagine della Cronaca. Collabora con la rivista Comunicare Il Sociale.

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