Uvaspina, una carezza fatta di cartavetrata
“L’uvaspina è un frutto fatto apposta per essere spremuto e far passare i malanni”, racconta l’anziana nel suo vascio giù alla Sanità a una bambina. Quella bambina è Monica Acito e “Uvaspina” (Bompiani, 2023) è il titolo del suo nuovo romanzo nonché il soprannome che la giovane autrice assegna ad uno dei protagonisti della famiglia chirurgicamente descritta nel suo libro.
Uvaspina è un anti-eroe archetipo della sopportazione che mendica tozzi di felicità, figlio maggiore del figlio del notaio Riccio e di Graziella la Spaiata, chiagnazzara professionale, sorta di prefica moderna che piange a pagamento ai funerali degli sconosciuti, vera e propria mercenaria dei sentimenti.
Ma, soprattutto, è il fratello di Minuccia, tiranna della famiglia detta lo Strummolo perché, come l’antica trottola, quando vortica diventa imprevedibile ed infermabile, “un animale che può fare le fusa o azzannare alla giugulare, una Bellezza maligna ed innocente al tempo stesso”.
Il romanzo segue le gesta di questa sgangherata famiglia con una coinvolgente dinamicità, una leggerezza spalmata su ogni pagina, piena di maschere viscerali, una sorta di carnevale della vita, in strade rumorose, colorate, piene di odori e geometrie variabili, “Città tutta sott e ‘ngopp”, tra Spaccanapoli, il vico Limoncello, la chiesa della Pietarella a Carbonara, l’isolotto di Megaride, Palazzo Donn’Anna, e Capo Posillipo, testa del gigantesco polpo chiamato Napoli
In una narrazione fatta di pause, sospiri, parole scelte con cura in italiano e napoletano “contaminato”, abbiamo modo di ri-apprendere tante leggende napoletane raccontate da Antonio, pescatore con 2 occhi eterocromi, insieme al quale, unitamente ad Uvaspina viviamo una iniziazione emotiva e letteraria, “le sue parole parevano fatte di acqua e lische di pesce, erano avvolte da un’allegria talmente spontanea che faceva paura”.
Infine, menzione particolare merita il poderoso personaggio de l’Acquaiola, mamma di Antonio, “tutta la sua cultura aveva una sola provenienza: la schiena ossuta di sua madre, che poteva sbriciolarsi in mille polveri e granelli di ossa; tutta la sapienza di Antonio nasceva da quella frangia tutta sciarmata che troneggiava su quel viso di cardellino. Quella sapienza era divina e sacra perché veniva dal sangue jettato dell’Acquaiola”, potentissimo omaggio alle mamme napoletane che, con i loro immensi sacrifici, hanno permesso all’ascensore sociale di funzionare nelle ristagnanti società meridionali.
L’autrice
Monica Acito (1993) è cresciuta in Cilento, tra le gole del Calore e i templi di Paestum. Ha iniziato a scrivere da bambina e fin dall’adolescenza ha collaborato con testate cartacee e online. Dopo la maturità classica si è trasferita nel centro storico di Napoli, tra Forcella e Mezzocannone, e si è specializzata in Filologia moderna presso l’Università Federico II. Nel 2019 è approdata a Torino, dove ha frequentato la Scuola Holden. Nel 2021 ha vinto, tra gli altri, il Premio Calvino per la narrativa breve e i suoi racconti sono stati pubblicati su numerose riviste letterarie. È docente di discipline umanistiche presso la scuola secondaria di primo e secondo grado.