Belve, De Crescenzo e la Rai: il trash come specchio nazionale

È ufficiale: Rita de Crescenzo, la regina indiscussa del “trash che ci piace”, sarà intervistata da Francesca Fagnani a Belve, su Rai 2, in prima serata. Sì, avete letto bene: la tiktoker napoletana che ha conquistato milioni di visualizzazioni cucinando con la Vallea e ballando in pigiama con Laura la Divina approda ora in uno dei talk show più visti della televisione italiana in partenza il prossimo 28 ottobre.
Un salto epocale: da un vicolo del Pallonetto di Chiaia ai palinsesti della tv nazionale.
Ma la vera domanda non è perché Rita de Crescenzo vada in tv.
La domanda è: perché la invitano lì?
Sarà che il trash piace perché ci fa sentire migliori. Mentre guardiamo Rita che urla “Buongiorno e pace, nù bell bacio!” con l’ardore di una Giovanna D’Arco e la spontaneità di chi non ha mai fatto tre giorni di scuola consecutivi, noi ci sentiamo improvvisamente più raffinati, più colti, migliori.
È un bagno di autostima a basso costo.
Oppure sarà che il trash è democratico. Piace a chi si riconosce in Rita, perché parla, gesticola e sogna come lei. Piace a chi non si riconosce affatto, ma si diverte a guardarla con un interesse antropologico, come si guarda un documentario su una specie rara che vive su TikTok.

E piace soprattutto ai media, che in lei vedono il perfetto specchio del tempo: autentica, virale, e soprattutto una macchina volgare che fa numeri, sbanca, fa alzare la curva del Dio Auditel.
Ma l’effetto virale del disagio di Rita è il sintomo, non la causa.

Il trash non nasce dal nulla: è il risultato di un sistema che misura il valore in visualizzazioni, l’autorevolezza in followers e la verità in cuoricini su Instagram. Rita de Crescenzo, in fondo, ha solo capito le regole del gioco prima di molti altri.

Viene da una storia difficile — droga, dipendenze, detenzioni, marginalità — e oggi guadagna cifre importanti raccontando la sua quotidianità tra un tutorial di cucina e una diretta mattutina con la mitica fascia in fronte (indimenticabile la diretta nella quale le lanciano una gallina dalla strada. Un momento così surreale che nessun regista sarebbe stato capace di ricreare). Rita utilizza i social e nel web ha trovato un riscatto e non c’è nulla di male in questo. Anzi di questa faccenda mi pare l’unico aspetto positivo.

Il problema non è Rita: è che il suo modello funziona. E si moltiplica.
Francesca Fagnani, dal canto suo, fa quello che deve fare una giornalista: raccontare il presente. E il presente, volenti o nolenti, parla in napoletano, balla su TikTok e cucina la pasta “con la valleaaa”. Invitare Rita de Crescenzo non è un azzardo, è un atto di cronaca: un modo per mettere a nudo il Paese e per fare ascolti. Su Rai 2, in prima serata chiunque viene pagata per fare ascolti.

Se la De Crescenzo fa la content creator e la Fagnani la giornalista tv : di chi è la colpa? Della Rai che dà spazio al trash? Dei social che lo alimentano? O di noi, che lo guardiamo, lo condividiamo, lo commentiamo indignati e poi torniamo a cliccare “segui”?
Forse la colpa è collettiva, di tutti.
Il trash è il nostro specchio, e Rita de Crescenzo, inconsapevolmente, è la nostra più onesta testimonial. In fondo, tra un video in cui urla e un’intervista in prima serata, Rita ci sta semplicemente dicendo la verità più scomoda di tutte: non è lei che è diventata mainstream. È il mainstream che è diventato lei.
Rita de Crescenzo fa la tiktoker trash, Fagnani fa la giornalista pop a favor di ascolti televisivi: entrambe coerenti con il proprio ruolo e il guaio sono proprio i ruoli.

Il problema serio infatti è che ci sono politici che si improvvisano influencer scendendo in strada a fomentare la gente con dirette TikTok per raccattare cuoricini, giornalisti che commentano la politica come se stessero parlando del Grande Fratello e editorialisti in prima pagina che parlano di Gaza e Palestina con lo stesso grado di attenzione con cui si parla del nuovo fidanzato di Belen Rodriguez.
In fondo la De Crescenzo è la maschera di un carnevale senza regole e geograficamente molto più esteso del Pallonetto a Chiaia.
Il punto non è il trash: il punto è la confusione.

La non meritocrazia ovunque, la superficialità ad ogni livello e l’incompetenza specialmente nelle poltrone di chi decide.
Perché almeno Rita sa perfettamente di essere trash— e che male c’è: ci campa pure.
Il trash, almeno, ha la decenza di non fingere di essere altro.
E in tempi di grande confusione, forse è già una apprezzabilissima forma di onestà.

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