Il gioco della parola è un modo antico eppure sempre attuale di fare teatro e portalo in scena può essere un azzardo, perché si rischia di trasformare in un manuale di retorica quello che dovrebbe essere un fuoco d’artificio della sintassi. Tiene invece la scena Esercizi di stile tratto dal capolavoro di Queneau e proposto lo scorso weekend (dal 21 al 23 novembre 2025) al teatro Sannazaro di Napoli. Francesco Foti, Agostino Zumbo ed Emanuela Pistone (che firma anche la regia) anziché novanta come dal testo originale, offrono quaranta di reinterpretazioni dello stesso tema, basandosi sulla traduzione del libro che fece Umberto Eco. Un episodio banale di vita quotidiana diventa il pretesto per mettere alla prova figure retoriche e generi letterari, tanto che il racconto diventa ora epico, ora volgare, ora drammatico, raggiungendo punte di ilarità massima quando è messo in scena in latino maccheronico – e si irride un po’ alla ritualità della Chiesa, ma con il giusto equilibrio – catturando la benevolenza del pubblico mentre viene recitato in napoletano. Prodotto dal Teatro Stabile di Catania e finalista come migliore spettacolo al premio “Le Maschere del Teatro Italiano” nel 2024 (premiato per l la categoria Migliori luci, firmate da Gaetano La Mela) Esercizi di stile reinventa il libro del 1947 in una specie di circo, dove gli attori si muovono come funamboli della parola e, più che mostrarne l’equilibrio, ne dimostrano la straordinaria elasticità, esplorando le infinite potenzialità del linguaggio quando viene “esercitato” al di fuori di ogni schema.
Se c’è un invito, un messaggio in questo piccolo gioiello dello spettacolo, non può che essere quello di non fermarsi alle apparenze. Oriana Fallaci diceva che la scrittura è sofferenza e che non c’è niente che non si possa scrivere meglio. Ecco in Esercizi di stile al Sannazaro il pubblico (coinvolto a un certo punto nella recita) comprende che c’è niente che non si possa dire diversamente, ora meglio ora peggio, quando si assume, assieme al tono, alle parole, ai sinonimi e alle metafore, la responsabilità e il piacere di restituire significati amplificati, sminuiti o previsti, ma comunque potenzialmente infiniti.