Il sindaco si promuove ma il cambio di passo non c’è
Chissà se Manfredi è stato nel corso della sua carriera accademica un professore indulgente con i suoi studenti come con se stesso, nel bilancio dei primi due anni di mandato. Bisognerebbe poi capire a quale voto corrisponde l’ottima sufficienza che si è attribuito.
Se l’aggettivo pesa più del sostantivo, siamo di fronte a una valutazione di manica decisamente larga. Irrealistica. Se invece il termine chiave è sufficienza e quell’ottima solo un orpello retorico, in fondo siamo a breve distanza dalla canonica mediocrità del cinque. In ogni caso, quale che sia la motivazione del giudizio del sindaco, la realtà dice invece che negli ultimi due anni a Napoli non è accaduto niente di così eclatante da far gridare al miracolo. Forse per questo il bilancio di mandato parla molto al futuro.
Il punto di partenza resta l’eredità demonizzata per decreto dell’amministrazione De Magistris. Quasi che per far emergere le scarne virtù del presente ci sia bisogno di continuare a enfatizzare i limiti del passato, piuttosto che sottolineare un vero cambio di passo. Ciò che conta è che nella percezione dei cittadini non c’è la sensazione di una sterzata tangibile, per la semplice ragione che questa non si è verificata. Anzi, nella classifica di gradimento del Sole 24 ore, Manfredi precipita dal quinto al sedicesimo posto. Una caduta peggiore di quella del Napoli campione d’Italia, invischiato al momento nelle sabbie mobili di una transizione difficile, ma almeno capace di regalare appena pochi mesi fa una gioia lunga e liberatoria alla città.
A Natale del 2019, tornai da Londra per le vacanze. Il sindaco era De Magistris nell’ultimo biennio del suo secondo mandato. Restai colpito dal numero di stranieri che affollavano il centro storico. C’erano già allora e anche il dibattito sulla turistificazione era in pieno svolgimento. La città mi sembrò comunque animata dalla voglia di fare, un vivace programma di eventi a costo zero organizzato dal Comune per le feste. Mi sembrò una Napoli in ripresa, seppur nella prospettiva lunga oltre trent’anni di chi come me si ricordava il centro storico vuoto di sera, le piazze ridotte a parcheggi e la lunga teoria di tubi Innocenti a sorreggere i palazzi dopo il terremoto, passando poi per il controverso Rinascimento bassoliniano.
Vidi fermento. Forse ne esagerai la portata con l’occhio indulgente dell’emigrante che torna dall’estero, ma per prendere un autobus dovetti comunque affidarmi alla benevolenza degli incastri fortuiti come negli anni ottanta. La differenza era che stavolta possedevo uno smartphone, aprivo la stessa app che usavo a Londra, ma nonostante l’autobus mi venisse indicato come in arrivo poi non arrivava, sostituito da quello successivo col rischio che fosse altrettanto virtuale. Ipotetico.
Per quanto continuassi ragionevolmente a ripetere a me stesso di non essere a Londra e di ridurre le mie aspettative, neanche la retorica delle stazioni dell’arte rese accettabili attese così lunghe da svuotare il concetto stesso di trasporto metropolitano, che ha fra le sue caratteristiche principali proprio la frequenza dei convogli. Sempre, beninteso, che il mio itinerario riguardasse zone della città coperte dal servizio, perché per una percentuale consistente di napoletani la metropolitana è come se non esistesse. Non è un’opzione praticabile, con le stazioni più vicine che distano chilometri.
Oggi con Manfredi cosa è cambiato? Sui trasporti, al netto dell’introduzione progressiva dei nuovi treni, il cui acquisto risale però alla passata amministrazione grazie a fondi della Regione e dello Stato, si farebbe fatica a trovare un solo napoletano in grado di cogliere differenze sostanziali. Piste ciclabili e car sharing erano opzioni già esistenti, ma insufficienti allora e non certo decollate negli ultimi due anni. Più continuità quindi che rottura fra le due esperienze, a dispetto della narrazione forzatamente in contrasto.
Se un elemento di discontinuità va colto, è in certi casi negativo. Operazioni come i parcheggi sotterranei a piazza Vittoria e al Vomero, per esempio. L’idea in controtendenza con il resto dell’Europa occidentale di reiterare un modello di mobilità basato su attrattori di traffico, invece di favorire politiche di dissuasione dall’uso dell’automobile. A maggior ragione in una città come Napoli, dove secondo i dati diffusi dallo stesso Comune oltre la metà dei veicoli circolanti è vecchia e inquinante.
Lo scenario resta quello di un cambiamento che anche quando c’è rimane sonnolento, in cui ogni tanto viene calato l’asso dalla manica degli scenari futuri. Il futuro resta una dimensione sempre popolare nella politica cittadina. Infatti ne fa ricorso largamente Manfredi nel suo bilancio, rivendicando cose che si dovrebbero fare, che forse si faranno davvero, ma che al momento non esistono. Bizzarro ritrovarle elencate in un resoconto dell’attività svolta.
Certo, va ribadito che per quanto l’opinione pubblica e la propaganda politica sono portate rispettivamente a esagerare aspettative e promesse in campagna elettorale, un sindaco è un amministratore di condominio. Prendendo per buona la metafora, i suoi poteri sono limitati alla pulizia delle scale, al funzionamento dell’ascensore, alla manutenzione dello stabile, alla gestione delle relazioni fra gli inquilini e a una serie di altre incombenze varie ed eventuali. Tuttavia, anche ancorando il giudizio al terreno della gestione quotidiana della città, tralasciando quindi disoccupazione, emigrazione verso il nord e l’estero, sicurezza, quell’ottima sufficienza resta comunque ardua da giustificare.
Sono tante infatti le criticità, dai rifiuti al mare negato, passando per le conseguenze sempre più evidenti di uno overtourism senza freni, l’insufficiente funzionamento dei servizi sociali, il verde pubblico, il perdurare di preoccupanti livelli di dispersione scolastica con circa duemila casi solo nell’ultimo anno, la politica culturale che non c’è anche come conseguenza della scelta di non nominare un assessore alla Cultura, l’ammodernamento della macchina amministrativa.
I trasporti pubblici sono l’esempio più evidente perché riguardano la vita quotidiana di centinaia di migliaia di napoletani, oltre che dei turisti mossi da sincera passione e spirito di sacrificio che continuano nonostante tutto ad affollare la città facendosela a piedi. Perfino prendere un taxi è complicato e fa quasi sorridere il fatto acclarato che il mezzo pubblico più efficiente in città è la rete clandestina dei taxi abusivi. I cumuli di rifiuti dell’emergenza sono un ricordo doloroso ma alle spalle da oltre un decennio, tuttavia Napoli non brilla certo per pulizia neanche oggi. A volte ci si ritrova a pensare che basterebbe anche qualche cestino, qualche cassonetto in più, uno svuotamento più frequente e costante, per ottenere un miglioramento percepibile. Perché non si provvede?
Sta finendo la seconda estate di caldo rovente che i napoletani non hanno potuto mitigare andando al mare gratuitamente, perché la porzione di litorale pubblico resta risibile. Le spiagge comunali a Bagnoli e San Giovanni a Teduccio attengono più al terreno della propaganda che a quello della concretezza. Spianate di erbetta incolta, polvere mista a sabbia e sassi con un mare non balneabile, non restituiscono il mare alla città se non nella lingua contraffatta della retorica per il popolo. Dove sono finite le piattaforme smontabili promesse a Mergellina? Le vedremo in funzione almeno nell’estate 2024, o le ritroveremo nel bestiario delle promesse allo scoccare dei prossimi trenta gradi?
Il risultato è che tanti napoletani, spesso anziani, famiglie con bambini che non possono spendere i 20 o 25 euro a persona al giorno chiesti dai lidi privati, continuano a immergersi nelle acque rese maleodoranti dagli scarichi fognari di San Giovanni e in quelle inquinate dai metalli pesanti dell’ex Italsider e dell’ex Cementir. È successo davanti ai miei occhi, nell’indifferenza generale, anche durante l’inaugurazione della spiaggia comunale di Bagnoli da parte del sindaco e dell’assessore Cosenza. L’ho raccontato qui su Napoliclick.
La verità è che ogni discorso sulla rinascita di Napoli si incentra intorno al totem del boom turistico, col rischio che il turismo diventi una monocultura capace di determinare da un lato profitti sempre più grandi e dall’altro lavoro povero e precarietà diffusa. Quanto lavoro nero, grigio, irregolare, sottopagato c’è nel turismo napoletano? È una domanda a cui pochi provano a rispondere. Una mappa che a nessuno interessa tracciare, ma che pure racconterebbe l’altra indispensabile faccia della medaglia.
Anche l’impatto sul mercato immobiliare è evidente. Non solo al centro, ma anche in periferia dove si espande a macchia d’olio il fenomeno dei b&b e delle case vacanza. Pure a Pianura, Cavalleggeri, San Giovanni, Capodichino, Secondigliano, un appartamento può costare ormai mille euro al mese e oltre. Non è solo quindi una dinamica che riguarda il centro storico, dove pur si manifesta in forme dirompenti moltiplicando il numero degli sfratti, ma la quasi totalità del territorio cittadino. Affitti relativamente ragionevoli si trovano ormai solo in provincia, addirittura verso quelle confinanti con la città metropolitana di Napoli. Aree poco servite dal trasporto pubblico che di conseguenza alimentano volumi di traffico automobilistico insostenibili.
Insomma, senza voler scaricare integralmente il peso della croce sul sindaco Manfredi e la sua giunta, di fronte a problematiche che sono anche di natura strutturale e macroeconomica in un paese strutturalmente a due velocità, emerge un quadro che induce quantomeno a una maggiore sobrietà di giudizio. Fra tre anni, a fine consiliatura, ci si attende che molte delle cose elencate in questo bilancio provvisorio e ascrivibili al momento alla voce promesse siano state effettivamente realizzate. Fra tre anni, e a cinque dalle scorse elezioni, non si potrà continuare a dire che è colpa di quelli che c’erano prima.
Ci sono le nuove assunzioni al Comune, le forze fresche in Asìa, le stazioni della Linea 1 da aprire, quelle della Linea 2 da rifare, i bus elettrici da immettere in servizio, un turismo da regolare, un’industria del divertimento notturno vivace ma da regolamentare perché sia una risorsa e non un fastidio crescente per una parte della città. C’è una base dalla quale partire e molto da fare, ma quello che non si intravede è una visione che vada oltre l’elogio pedante e acritico del turismo. E poi il dialogo, non c’è nessun dialogo fra la città e i suoi amministratori. La giunta con l’età media più alta d’Italia nella metropoli con il più alto numero di giovani, non è anche questa una contraddizione che sarebbe necessario sanare?