Il reddito di cittadinanza e i salari sono sotto attacco, ma non li difenderemo sui social
di Sergio D’Angelo
Come ve lo immaginate l’autunno? Io penso che sarà rovente, fra scenari di guerra, inflazione, caro energia e carburanti, disoccupazione. Lo sarà soprattutto al sud dove la disoccupazione e il lavoro nero sottopagato costituiscono un elemento endemico e dove si concentra il 55% dei percettori del Reddito di Cittadinanza. Nella Città Metropolitana di Napoli il Reddito coinvolge circa 450mila persone, il 15% della popolazione. È senza timore di smentita uno degli elementi che contribuisce a garantire la già precaria coesione sociale dei nostri territori.
Eppure il Reddito di Cittadinanza continua a essere sotto assedio. Ne abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione con la modifica recentemente approvata che equipara le offerte dei privati a quelle dei centri per l’impiego. Cosa significa? In termini pratici vuol dire che anche le offerte di lavoro da parte dei privati saranno conteggiate nelle due che possono essere rifiutate prima della terza, che comporta la decadenza dal beneficio. È una follia, se si considera che la prima offerta può prevedere un lavoro fino a 80 chilometri o 100 minuti da casa, e la seconda può arrivare da qualsiasi località in Italia.
In un paese come l’Italia, unico dell’area Ocse dove gli stipendi sono diminuiti in relazione al costo della vita dal 1990 a oggi (mentre in Francia e in Germania sono aumentati fra il 30% e il 40%), dove ci sono oltre 14 milioni di persone in povertà assoluta e povertà relativa, attaccare il Reddito di Cittadinanza è una scelta tutta politica che scarica i costi della crisi sulla parte più povera e più fragile della popolazione. È un assist al lavoro irregolare sottopagato che prospera in assenza di controlli, come ho raccontato recentemente riportando la storia di Francesca, una ragazza 22enne napoletana che si è vista offrire 70 euro settimanali per un lavoro full time sei giorni su sette.
Considerando un'inflazione al 6%, l’Istat ha calcolato qualche mese fa che l'Italia potrebbe registrare 400 mila famiglie povere in più, quasi un milione di persone, nel corso del 2022. Peccato che l’inflazione sia invece già arrivata all’8% e quindi un operaio perde su base annua 1.250 euro di potere d’acquisto, oltre 100 euro al mese su un già magro stipendio. Sono queste le fasce della popolazione appena sopra la soglia di povertà che rischiano seriamente di precipitarvi se non si riesce a fermare l’attacco ai salari reali. Ma sia per l’Rdc che per i salari non ci aspettiamo che la tutela si ottenga con i post sui social. Serve costruire una mobilitazione reale nel paese che coinvolga lavoratori, sindacati, percettori del Reddito, pensionati, associazioni dei consumatori, disoccupati, precari. Ovvero quelle categorie che già oggi affrontano una crisi feroce come non si vedeva da decenni. Serve una risposta politica, bisogna costruirla.