Terremoto Reset
La terra trema a Napoli. Il sisma dai Campi Flegrei investe la città e lo sentono tutti, dal centro alle parti alte, dal mare alla collina vomerese, da Posillipo alla periferia, e di nuovo come in un tempo ormai lontano le persone scendono in strada e molti trascorrono la notte in macchina.
Le lancette inesorabili sembrano scorrere all’indietro e appare un’altra storia, un’altra città scossa dalle fondamenta, in quella lontana e stranamente calda domenica del 23 novembre di quarantaquattro anni fa.
Napoli dimenticata ma di “mille culure” come cantava Pino Daniele, Napoli ferita che fatica a rialzarsi come l’abbiamo vista in quel decennio cupo dagli anni Ottanta agli anni Novanta, e dove nel biennio ‘84/85 si accompagnò anche il bradisismo di Pozzuoli, ma piena di voglia di vivere, resistere e vincere come l’abbiamo vista in quegli stessi anni quando Maradona traghettò il cuore dei napoletani feriti allo Scudetto, Napoli che è ombra e luce da sempre e che conserva la capacità di risorgere dalle ceneri come un’Araba Fenice, Napoli che oggi di nuovo si confronta con l’incertezza del domani, con la precarietà e l’impermanenza delle cose.
I napoletani che c’erano non hanno dimenticato, perché quella data segnò una separazione netta tra la città di prima e la città di dopo.
Quell’angoscia antica ritorna adesso a serpeggiare e con lei i ricordi di una città puntellata e abbandonata, messa in ginocchio e devastata…
Sulla panchina dei giardinetti nella parte alta della città, una signora anziana che ha portato il suo cane a passeggio, sembra saperla lunga. Per niente spaventata subito dopo la seconda scossa lunga e forte delle 20,10 di ieri sera, esordisce ad alta voce: “Ne abbiamo passate tante… Io sto tranquilla. Non erano diverse le scosse del bradisismo negli anni Ottanta… Anzi erano pure più forti”, e la sua “memoria storica” sembra confortare il capannello di ragazzi intorno.
E forse la distanza che ci separa da quegli anni è data solo da questa rete costante di informazioni che ci avvolge continuamente e che anziché proteggerci a volte dilata tutto, paure e timori atavici.
Quando la terra trema ci sentiamo inermi, completamente in balia dell’imponderabile, dell’inaspettato e di tutto ciò che sfugge al nostro controllo.
Ed è lì che appare evidente la frattura che ci separa dalla terra, dalla natura.
La terra è corpo, animali, alberi, ciclo delle stagioni, intuizione, magia, creatività, guarigione, accoglienza spaziosa, essere in contatto con la naturalità delle cose e con il mistero e il sacro dell’esistenza. È questa connessione che fa maturare naturalmente una capacità che ha molto a che fare con la resa e la fiducia nell’esistenza a prescindere.
Ma noi culturalmente siamo connessi a una rete virtuale, viviamo sconnessi dal corpo in una società tecnologica dove l’elemento intuitivo è misconosciuto, vogliamo controllare e misurare ogni cosa, facciamo fatica ad avere fiducia e ad affidarci, distruggiamo il nostro habitat e educhiamo i nostri figli al consumo indiscriminato anziché a contemplare un tramonto.
Il terremoto come tutte le calamità che ci rendono fragili ci porta a fare un reset.
Per ritornare alle cose essenziali, quelle che una domenica lontana di fine novembre degli anni Ottanta portarono le persone spaventate a riunirsi per confortarsi insieme attraverso un abbraccio, uno sguardo, una parola di conforto e di calda vicinanza; a fare Comunità viva e reale, e a riscoprire quel senso di appartenenza profonda che ci permette di attraversare l’ignoto insieme, senza paura.
La terra trema e trema il nostro cuore, trema e si ribella all’inesistenza di una vita povera di valori umani, che vuole riconnettersi a quei valori essenziali e tornare a ciò che rende profondamente vivi: il ciclo naturale delle cose, il ritrovarsi, l’umanità condivisa, la solidarietà…
Perché la Terra e noi, il nostro corpo, siamo fatti della stessa pasta.