Il malessere, il fenomeno culturale che racconta la generazione Z napoletana
“Il fenomeno ‘malessere’ è ovunque: è il malessere in senso psicofisico, che contraddistingue la nostra società, ed è ‘il malessere’ inteso come ideal-tipo di ragazzo che si fa notare per il suo look, ascoltatore seriale di musica trap, retrogrado, maschilista e omofobo. E che però, proprio per questo, piace alle ragazze. Di rimando, c’è anche ‘la malessere’, ovvero la ragazza che assume gli stessi atteggiamenti e comportamenti controllanti, maltrattanti e violenti pur dentro una divisione di ruoli tradizionalista. E ora ‘il malessere’ esce dalla cornice social di TikTok per farsi vero e proprio brand, ispira la moda, l’abbigliamento, i consumi”.
Così Roberto Graziano, dottorando in Sociologia all’Università Federico II di Napoli, ha descritto sinteticamente il fenomeno nato su TikTok che sta dando forma alle relazioni sentimentali della generazione Z napoletana, in apertura dell’incontro Il MalEssere: Università e Industria culturale in dialogo, che si è svolto ieri, 8 maggio, a La Buvette di EVA nel foyer del Teatro Mercadante di Napoli.
“Il fatto che, proprio per queste sue caratteristiche, ‘il malessere’ sia diventato l’oggetto del desiderio delle ragazze ci interroga rispetto al possibile impatto sulla legittimazione del maltrattamento delle donne. E chiede ai centri antiviolenza, che da sempre lavorano sulla decostruzione di stereotipi e pregiudizi sessisti, di mettersi in ascolto di chi fa ricerca sociale e degli artisti e delle artiste che nel loro lavoro si interrogano su certi modelli culturali”, ha affermato Daniela Santarpia, presidente della cooperativa sociale EVA, che ha co-organizzato l’incontro insieme al Centro studi digitali Il malessere dell’Università Federico II e alla Fondazione Una Nessuna Centomila.
“È vero che c’è una cultura che cambia, non avremmo mai immaginato tutta la coralità del contrasto alla violenza di sabato e domenica scorsi a Verona, con il concerto Una Nessuna Centomila in Arena, una grande emozione”, ha sottolineato Lella Palladino, vice presidente della Fondazione Una Nessuna Centomila, “ma sappiamo che c’è anche un grande ritorno indietro, uno sdoganamento di modelli culturali che pensavamo ormai archiviati, e ‘il malessere’ ce lo conferma. Per questo è nato il Laboratorio artistico della Fondazione, che vede qui oggi Giovanna Sannino, Gaetano Migliaccio, Lucariello, Romana Maggiora Vergano: perché è dalla cultura che bisogna ripartire, se si vuole davvero prevenire la violenza”.
“Abbiamo intitolato il centro studi digitali Il malessere perché questo è senz’altro il fenomeno più rilevante della cultura napoletana sui social, ma non è l’unico che stiamo studiando, e saremo presto presenti su TikTok con un nostro canale”, ha annunciato Adam Arvidsson, professore ordinario di Sociologia all’Università Federico II di Napoli. Nel tracciare le caratteristiche del ‘malessere’, Arvidsson ha sottolineato come “proprio per come funziona TikTok, questo fenomeno ha a che fare con una vera auto-rappresentazione popolare delle relazioni e dell’identità di genere, che da un lato riflette una condizione genuina, in cui prevalgono ruoli di genere fortemente contrassegnati dalla cultura patriarcale, con il confinamento delle donne nello spazio domestico, in situazioni spesso di maltrattamento. Dall’altro si colloca in una dinamica di antagonismo Nord-Sud e di classe, che rifiuta la cultura borghese come modello a cui ispirarsi, riaffermando con forza la propria identità e il radicamento nel territorio e nel contesto sociale di provenienza”.
Nel confronto tra Giovanna Sannino, che in MareFuori interpreta il ruolo di Carmela, moglie dell’aspirante boss Eduardo Conte, e Romana Maggiora Vergano, che in C’è ancora domani interpreta Marcella, la figlia della protagonista che spinge la madre, Paola Cortellesi, a ribellarsi alle violenze del marito, “emergono due modelli culturali che hanno entrambi spazio su TikTok, dove accanto al ‘malessere’ assistiamo all’affermazione della quarta ondata del femminismo”, ha ricordato Brigida Orria, dottoranda del Centro studi digitali Il malessere.
“Se una ragazza mi dice ‘vorrei un amore come Eduardo’, che in MareFuori è davvero ‘o malessere’ in tutto e per tutto, significa che è mancata una educazione al bello, al rispetto, che ti faccia sentire che il maltrattamento non è una dimostrazione di amore”, ha detto Giovanna Sannino. “Parlare di questi temi nelle scuole, come sto facendo con la Fondazione, si è rivelato importantissimo, perché si possono innescare riflessioni che altrimenti non si avrebbe mai occasione di fare”.
“Quanto il film C’è ancora domani abbia avuto un impatto in tal senso l’ho capito il 25 novembre al Circo Massimo… D’altro canto, anche io da ragazzina ho avuto il mio ‘malessere’, da cui poi sono riuscita a liberarmi”, ha ricordato Romana Maggiora Vergano, “ma all’epoca quando per le prime volte andavamo in discoteca, quel controllo costante mi faceva sentire sicura, una principessa. Ed è su questo che bisogna lavorare, sul bisogno di sicurezza, di emozioni forti, di avere dei riferimenti chiari, netti, tipico dell’adolescenza”.
Per Carmen Festa, psicologa e responsabile dei programmi della cooperativa EVA con i/le minorenni, “dobbiamo sempre ricordarci che a 15 anni, quando si affacciano all’amore, le ragazze non hanno quella consapevolezza di sé che permette di riconoscere una situazione maltrattante, anche perché in moltissimi casi queste sono le modalità di relazione con cui sono cresciute. Perciò lavoriamo sul contesto, con le famiglie, i genitori, la scuola, non solo con le ragazze che incontriamo quando hanno subito violenza, sia in rete che fuori”.
Lucariello, artista che da oltre 10 anni forma al rap i ragazzi dell’Istituto penale minorile di Airola, in provincia di Benevento, ha evidenziato come “TikTok ha smosso una serie di compartimenti stagni, che sono le nostre relazioni sociali, facendo arrivare direttamente al nostro inconscio qualcosa, come ‘o malessere’ per esempio, che molti di noi avrebbero preferito tenere fuori”. Ciononostante “i social non vanno demonizzati, come non va demonizzata la musica trap, che va invece ascoltata perché racconta il vissuto di chi la fa e di chi la ascolta, un vissuto che ci interroga sulle reali opportunità e alternative per questi ragazzi”.
L’importanza del contesto è stata sottolineata anche da Vincenzo Luise, ricercatore alla Facoltà di Sociologia della Federico II, quando ha svelato come “l’estetica e la rappresentazione performativa del ‘malessere’ traggono ispirazione dall’autorappresentazione della camorra avvenuta per la prima volta proprio su TikTok. È su questa piattaforma che è venuta meno l’intermediazione dell’industria culturale – il racconto della criminalità organizzata fatto da media, cinema e TV – ed è per questo che studiare i fenomeni culturali su TikTok può darci chiavi di lettura della realtà in cui siamo immersi”.