Sabato, 27 Aprile 2024

Carceri piene per la criminalizzazione della povertà: la denuncia di Antigone

“Le nostre carceri sono piene perché è in atto una vera e propria criminalizzazione della povertà, problema che tocca sempre più fasce della popolazione, e sempre più persone vengono attratte nel circuito penale”. È questa la denuncia di Antigone, associazione storica che si occupa dei diritti della popolazione detenuta nonché osservatorio permanente sulle condizioni in cui si trovano gli istituti di pena, a pochi giorni alla pubblicazione degli ultimi dati resi noti dal Ministero della Giustizia.

Stando al rapporto pubblicato sul sito ufficiale, in Campania e Lombardia si trovano le carceri più sovraffollate: regioni, che essendo quelle in cui insiste il numero maggiore di istituti, dettano la tendenza generale. Nei 15 istituti carcerari che si trovano sul territorio campano, ci sono 7.303 detenuti su una capienza regolamentare di 6.171 (+171), di cui 884 stranieri, 346 donne. “In realtà la Campania non è una regione con un alto numero di migranti, ma è una delle regioni italiane più povere in generale. Sono proprio i soggetti più marginali, a seguito di norme che lo rendono possibile, a finire in carcere - spiega il referente campano di Antigone Luigi Romano – Basti pensare che da noi, come in Lombardia, c’è un tasso di crescita medio mensile di 100 detenuti”.

Ogni mese, insomma, nelle carceri campane, come in quelle lombarde, si contano 100 detenuti in più rispetto a quello precedente. “Il carcere diventa uno strumento di governo della povertà - sottolinea Romano - Si mette in moto un meccanismo perverso che conduce chi versa in condizioni di forte disagio a finire nel circuito penale”. Circuito, caratterizzato di per sé, da vari problemi atavici, dal sovraffollamento all’inadeguatezza delle strutture, dall’emergenza sanitaria fino ad atti di autolesionismo e suicidio.

Prendiamo Poggioreale, una delle carceri più vecchie e da sempre più sovraffollate d’Europa, con punte che negli anni hanno toccato i 3000 detenuti su una capienza regolamentare di circa la metà. “In queste circostanze, anche nella struttura progettata nel modo migliore – dice Luigi Romano - -ci saranno problemi, perché ad essere minacciati, per chi è già privato della libertà personale, sono i diritti fondamentali, come quello alla salute. Il limite diventa fisico e vale sia per i detenuti che per chi possiede le chiavi, vale a dire la polizia penitenziaria, che si trovano a vivere lo stesso spazio e quindi le stesse limitazioni”.

Una situazione di partenza già molto critica che viene compromessa ulteriormente, secondo gli osservatori di Antigone, da un pacchetto sicurezza dall’impronta fortemente repressiva, che prevede pene più dure, ad esempio, per reati come l’occupazione abusiva di stabili. In questa situazione, il ricorso, ove possibile, a misure alternative alla detenzione dovrebbe rappresentare un elemento di decongestione. Ma non è sempre così: “In Italia ci sono circa 84mila soggetti in misure alternative, sono un numero elevatissimo in continua crescita che non semplificazione affatto il sistema dell’esecuzione penale. Le istituzioni preposte non possono gestire questo carico – conclude l’osservatore di Antigone - inoltre, in Campania non sempre la Magistratura di sorveglianza è sensibile a queste problematiche, sconta alcune volte una visione culturale arretrata carcero-centrica”.

Allora, ecco la proposta: “Il codice penale non può occuparsi delle conflittualità sociali di questo Paese, le risposte vanno cercate altrove il codice penale è - si spera - un insieme finito di risposte. Bisogna cominciare a pensare in modo diverso, non seguendo questo orizzonte limitato”.

Maria Nocerino
Author: Maria Nocerino
Sociologa e giornalista professionista, è specializzata nel giornalismo sociale. Ha collaborato con l’agenzia di stampa Redattore Sociale e con il quotidiano Roma per le pagine della Cronaca. Collabora con la rivista Comunicare Il Sociale.

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