Giovedì, 21 Novembre 2024

Crisi del welfare: riscrivere il patto tra terzo settore e pubblica amministrazione

I modelli di gestione dei servizi sociali e socio-sanitari che abbiamo e conosciuto e sviluppato negli ultimi vent'anni, soprattutto nei territori più fragili come quelli del Sud Italia, si trovano ormai in una condizione di grande trasformazione, che in molti casi rasenta situazioni di profonda crisi. Una crisi che riguarda non solo le politiche di welfare e il modello di erogazione dei servizi, ma tutto il sistema di relazioni tra persone, tra persone e comunità, tra organizzazioni sociali ed enti locali. 

Ad essere stato attraversato da un radicale mutamento è stato anche il Terzo Settore, mondo molto vasto e articolato, fatto di organizzazioni e cittadini, originato da movimenti dal basso ed in molti casi stimolato da una voglia di protagonismo, partecipazione e di militanza politica.

Oggi più che mai, racchiudere il mondo della autorganizzazione civile, dell’intrapresa e del lavoro sociale, della cooperazione e delle organizzazioni di volontariato, di promozione sociale e culturale delle Fondazioni di partecipazione e di comunità, in un’unica definizione risulta quantomeno riduttivo, perché non restituisce la ricchezza e la potenzialità che le tante organizzazioni esprimono.

Bisogna però dire che questo complesso universo si è trasformato, forse anche inconsapevolmente, nelle dinamiche interne e nelle sue relazioni con l’esterno, in primis, con la pubblica amministrazione, per effetto di una profonda trasformazione del contesto socio-politico (ma anche economico) in cui opera.

Quel coacervo di modelli, strumenti, organizzazioni che ha storicamente lavorato affianco agli enti pubblici negli ultimi 30 anni, ha rappresentato decisamente un importante sostegno per le politiche di welfare pubblico, in termini progettuali e di spinta propulsiva, in quanto a capacità di leggere e interpretare i cambiamenti all'interno della società, individuare i bisogni vecchi e nuovi di persone e comunità, fino a ricercare possibili soluzioni attraverso progetti e proposte innovative.

Si può dire, senza timore di smentita, che in diversi ambiti (soprattutto quello socio-sanitario) questo impegno ha contribuito alla trasformazione dei progetti in servizi stabili e con essi, alla stabilizzazione delle condizioni di lavoro delle tante operatrici e dei tanti operatori sociali. Ciò è avvenuto sicuramente a Napoli dove la collaborazione tra Pubblica Amministrazione e cooperazione sociale ha sviluppato interessanti intrecci e contaminazioni che sono andate anche oltre la naturale integrazione tra soggetti, aspetto che ha sicuramente arricchito il sistema dei servizi. Penso a settori come quello delle dipendenze e della Salute Mentale, ma anche alle importanti sperimentazioni di servizi educativi per adolescenti,  dove si è sviluppato un approccio integrato e territoriale sul modello basagliano, che apriva al territorio e faceva in modo che la sofferenza non fosse più sinonimo di reclusione ma dovesse essere presa in carico dal contesto sociale, che alle fragilità si potesse rispondere con progetti di inserimento sociale e lavorativo, nel migliorare e favorire le condizioni di accesso alla casa e all’inclusione.

Ecco, le diverse tappe di questo processo emancipativo hanno visto un ruolo determinante della cooperazione sociale e quindi, più in generale, del Terzo settore, che ha lavorato affianco e a volte anche in maniera strettamente connessa alla pubblica amministrazione, al punto da arrivare ad ottimizzare l’efficacia pubblica dei servizi. 

Quel modello di lavoro integrato così come lo abbiamo conosciuto non c’è più e forse solo oggi ce ne rendiamo davvero conto: se i servizi si sono stabilizzati, se si sono stabilizzate anche le condizioni e i rapporti di lavoro, le cooperative hanno perso protagonismo, sotto l’aspetto della capacità di incidere, co-progettare e innovare per continuare a rafforzare l’efficacia dei servizi pubblici. All’improvviso, quella cooperazione sociale si ritrova a svolgere un compito prettamente “prestazionale”, a gestire interventi pensati e gestiti da altri, senza più capacità (e forse possibilità) di interagire e sviluppare quella dialettica del fare, che è stata generatrice e volano di sviluppo di idee, visioni e progetti.

D’un tratto ci si rende conto che il sistema integrato è in crisi, come sono in crisi i sistemi e le politiche di welfare. Perché se è vero che una parte significativa della cooperazione sociale si è adagiata, è vero anche che dentro la Pubblica Amministrazione si è, molto spesso, diffusa la tentazione a contingentare e perimetrare lo scambio e la tendenza a alla contaminazione, che tanto ha prodotto in termini di crescita del sistema. 

In questo scenario già così critico, che fine farà la cooperazione sociale? Il rischio è che il Terzo settore possa diluire la sua forza innovativa fino a scomparire e diventare, come di fatto già in parte sta succedendo, un privato senza sociale, uguale a tutti gli altri attori del mercato, senza esserlo davvero e, quindi, senza possibilità di competere realmente con le altre imprese. 

Tuttavia qualcosa si può ancora fare per invertire la tendenza: due sono le strade da percorrere. Da una parte, si deve lavorare per riscrivere un nuovo patto tra il Terzo settore e la pubblica amministrazione, allo scopo di ritrovare spazi di collegamento e di collaborazione, mettendo al centro concetti come la co-progettazione e l’amministrazione condivisa. Dall’altra, la cooperazione sociale deve sforzarsi di ricostruire la propria autonomia e riprendersi quel ruolo di agente di cambiamento, così come ha dimostrato di saper fare negli anni.

È il momento di riscrivere un nuovo patto sociale per rilanciare politiche pubbliche a sostegno delle persone fragili e delle comunità e che possa promuovere buona occupazione, all’interno di uno spazio pubblico allargato e attraversabile. La cooperazione sociale è attore primario della funzione Pubblica intrinseca ai servizi, perché sta dalla stessa parte della Pubblica Amministrazione: nella costruzione e nel rafforzamento di sistemi stabili di welfare in grado di dare risposte efficaci alle persone e alle comunità, nella fruizione dei diritti sociali e di cittadinanza.  

E dentro questa cornice ricostruire le prospettive di sostenibilità e continuità. Per farlo c’è bisogno di concretezza, passione e decisione. È necessario stimolare l’intelligenza collettiva che affonda in tanti anni di lavoro sociale, per ricostruire un pensiero condiviso, una visione comune e ridefinire un profilo autonomo della cooperazione. Non una presa di distanza, dalla ricerca di integrazione con la Pubblica Amministrazione, ma la consapevolezza delle grandi potenzialità che ancora si possono esprimere per sostenere un rinnovato progetto di rilancio delle politiche di Welfare in un contesto di co-programmazione ed amministrazione condivisa. 

 Giacomo Smarrazzo

Presidente di Gesco

Giacomo Smarrazzo
Author: Giacomo Smarrazzo
Giacomo Smarrazzo è presidente del gruppo di imprese sociali Gesco. Cinquantotto anni, napoletano, laureato in Economia e Commercio, esperto di cooperazione sociale, è stato a lungo responsabile amministrativo e vicepresidente di Dedalus, cooperativa sociale aderente a Gesco. Dal 2020 è direttore del gruppo e amministratore delegato, mentre dal 2012 è presidente di Era, la cooperativa a più ampia base associativa di Gesco (conta 215 soci e 300 dipendenti) nata dall’unione di quattro storiche cooperative del consorzio. Fa parte del comitato di presidenza nazionale di Legacoopsociali.

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