Il Piccolo Principe compie venti anni: una storia di resistenza che guarda al futuro
Piccoli viaggiatori crescono. Il Centro Socio Educativo Il Piccolo Principe compie venti anni: un traguardo importante celebrato dalla struttura nata a San Giovanni a Teduccio nel 2004, lo scorso 20 novembre, nella Giornata dedicata ai diritti dell’Infanzia.
Venti anni in cui il centro - completamente autofinanziato – è diventato un punto di riferimento per l’interno quartiere, resistendo a crisi di ogni sorta, sorretto dall’indomita determinazione di chi ha sempre creduto profondamente nei giovani e nella loro possibilità di riscatto. Come Gigi Tarallo, fondatore del CSE Il Piccolo Principe e presidente della cooperativa sociale Terra e Libertà, che dal 1994 si prende cura dei minori della periferia est di Napoli.
Venti anni fa nasceva Il Piccolo Principe in un contesto, quello della periferia orientale di Napoli, molto diverso da quello attuale. Che bilancio ne trai?
Positivo, sicuramente gli obiettivi iniziali sono stati raggiuti. Uno di questi era offrire un luogo accogliente, che fosse capace di creare percorsi di reale emancipazione per i bambini a rischio della periferia est di Napoli, perché avessero gli stessi diritti e le stesse opportunità di bellezza degli altri bambini napoletani. E per bellezza mi riferisco a quella che ci circonda, senza effetti speciali, quella della città in cui ci troviamo, i cui castelli principali, Maschio Angioino, Castel dell’Ovo e Castel Sant’Elmo, sono sconosciuti a molti dei bambini e ragazzi che seguiamo. Ecco: noi li portiamo alla scoperta come fossero dei viaggiatori, proprio come era un viaggiatore il Piccolo Principe, che dà il nome al nostro centro.
Come è cambiato il quartiere in questi venti anni?
Aprendo Il Piccolo Principe venti anni fa, siamo stati coraggiosi ma di un coraggio “necessario”: il contesto in cui ci si muoveva era caratterizzato dal vuoto totale sia in termini istituzionali, sia in termini di esperienze simili alle nostre. Oggi la situazione è senza dubbio migliorata: il quartiere è sempre meno periferico; grazie all’Università, che ha aperto qui una sede, abbiamo un via vai di giovani e una fermata della metropolitana, che non è cosa da poco, perché, in una città in cui i trasporti pubblici sono una nota dolente, per poterci spostare, come appunto dei viaggiatori pronti all’esplorazione, dobbiamo pur contare su qualche mezzo di trasporto. Oggi nasce una agenzia di viaggi, accanto alle tante pizzerie, sale scommesse e agli innumerevoli bar. È un buon segno. Senza contare come è cresciuto il terzo settore in questi anni.
Come avete festeggiato questo ventesimo compleanno?
Quest’anno, abbiamo voluto fare un festeggiamento intimo con i nostri bambini e gli operatori, perché già guardiamo al futuro. Ci immaginiamo tra 5 anni, quando compiremo un quarto di secolo, in quel caso faremo una bella festa aperta alla città. Per ora, ci diamo da fare con campagne e raccolte fondi, noi siamo un centro autofinanziato, che fin dall’inizio della sua storia ha scelto di andare avanti senza denaro pubblico né istituzioni. Ogni tanto, riusciamo ad avere qualche finanziamento, come ora è accaduto con l’Otto per mille della Chiesa Valdese, con cui andremo a potenziare alcune delle nostre attività, come laboratori, sport ed escursioni.
Cosa manca ancora a San Giovanni a Teduccio e quali sono ancora le “emergenze” da risolvere?
Noi aspettiamo con ansia la nascita di una libreria e di un cinema, di cui il quartiere è sprovvisto e che invece servirebbero come attivatori culturali, oltre che commerciali. Purtroppo, resta il dato della disattenzione delle istituzioni, che non sempre si mostrano sensibili alle nostre attività e verso un territorio ancora complicato come questa periferia. Un esempio su tutti è quello della sicurezza, elemento completamente trascurato: parlo di garantire un presidio minimo di legalità, che potrebbe essere sperimentato semplicemente con una presenza maggiore di Polizia e Carabinieri, forse questo potrebbe creare un deterrente rispetto al compiersi di situazioni criminose.
Quanti bambini e ragazzi avete accolto in questi venti anni?
Circa un migliaio di bambini con le loro famiglie sono passati di qua. Prima della pandemia, avevamo ogni giorno con noi circa 40 bambini, oggi gravitano intorno al centro circa 25 bimbi dai 6 ai 13 anni. Siamo diventati un punto di riferimento per le famiglie, che sono in lista d’attesa perché ci conoscono e cercano, per le scuole e per le associazioni del territorio che con noi fanno rete e si confrontano.
Quali sono i prossimi obiettivi del Piccolo Principe?
Anzitutto, quello di continuare a viaggiare sempre con la fantasia ma anche fisicamente! Oltre ad essere un luogo per bambini, un altro obiettivo che continueremo a perseguire è quello di rappresentare un posto in cui si possano sperimentare anche i nostri ex bambini, diventati adulti, nel lavoro di educatori o di animatori per bambini. Ecco perché qui le porte sono sempre aperte per tirocini, servizio civile, borse lavoro. Abbiamo anche delle messe alla prova per persone che hanno commesso degli sbagli in passato.
Puoi raccontarci una storia emblematica di un ex Piccolo Principe che è riuscito a cambiare completamente vita?
La nostra punta di diamante: Giuliano, un bambino che ho seguito fin da quando aveva 8 anni. Cresciuto da una mamma separata, donna di grandissima dignità, con un papa assente e un fratello più grande di lui che non gli è stato di esempio, questo ragazzo era destinato alla strada. Invece, nonostante tutto, ha scelto una alternativa e l’ha coltivata: lo abbiamo accompagnato per mano, ha cominciato a studiare e poi ha fatto il concorso in Polizia. Oggi ha 30 anni, è felicemente spostato e fa il poliziotto a Firenze, dove vive. Con lui ho un legame molto forte, come con molti altri. Certi rapporti non si spezzano.
Come ti vedi tra qualche anno?
Io sono molto orgoglioso dei miei ragazzi. Attualmente posso contare sulla professionalità e sulla grande umanità di due collaboratrici, Wanda e Martina, due ex bambine del Piccolo Principe, che hanno frequentato questo posto e si sono appassionate al lavoro con i più piccoli. Entrambe studiano Scienze dell’Educazione: ecco, vorrei passare il testimone al loro, spazio ai giovani! Quanto a me, anche se in un ruolo diverso, continuerò a giocare con i bambini e i ragazzi del centro, tra cui c’è anche mio figlio Teo!