Passeggiando con Massimo, a 30 anni dalla scomparsa di Troisi
“A Napoli con Massimo Troisi” di Donatella Schisa, edito da “Giulio Perrone Editore” nella collana “Passaggi di dogana”, è un atto d’amore verso l’artista di San Giorgio a Cremano, a 30 anni dalla sua morte, avvenuta il 4 giugno 1994 a soli 41 anni, dopo aver donato a tutti noi gioia e bellezza nel corso della sua vita.
L’autrice ci invita a seguirla in questa passeggiata ideale con Massimo, attraverso i suoi luoghi e le sue passioni, chiedendoci una sospensione dell’incredulità che ben accettiamo, pur di immaginare di poter stare ancora un altro po' con il nostro idolo di gioventù.
Il percorso, che ci porterà da San Giorgio a Cremano allo stadio Maradona, passando per le sue molteplici e profonde passioni, dal calcio al teatro, dalla poesia alle donne, ci farà apprezzare ancor di più garbo, grazia, intelligenza, eleganza del nostro Massimo, “una di quelle persone che si incontrano quando la vita ha deciso di farti un regalo”.
Tutto ebbe inizio nella sua San Giorgio, che vantava una forte tradizione teatrale, quando viene scelto per recitare nel ruolo di Pinocchio nello spettacolo di fine anno della quinta elementare e da lì il ragazzo, figlio di una famiglia piccolo borghese presto divenuta proletaria, orfano di madre, con una malattia cardiaca nel petto ed una periferia addormentata sullo sfondo, spicca il volo, dimostrando con la sua vita che i sogni è possibile realizzarli sempre e comunque.
Massimo non ha mai frapposto alcuno schermo tra lui, la sua vera identità ed i personaggi interpretati sulla scena, lanciando una sfida al pubblico, raccolta ed accettata, rispetto alla decostruzione di Napoli e della “napoletanità”, rappresentate per quello che erano, in maniera prismatica, come un caleidoscopio in grado di restituire contemporaneamente le diverse sfumature e le tante anime che le componevano.
Basti pensare alla Napoli piovosa e cupa di “Scusate il ritardo” o al Pulcinella filosofo di “Capitan Fracassa”, che riflette sulla condizione dell’uomo in modo sofferto e malinconico, sempre, tuttavia, utilizzando il napoletano, perché “Io penso in napoletano, sogno in napoletano, veramente. Quando parlo italiano mi sembra di essere falso”, perché per lui la questione lingua era diventata quasi un fatto ideologico.
Troisi portò alla ribalta una nuova città, diversa da quella comunemente raccontata e conosciuta: senza mai inciampare nel luogo comune e senza sprofondare nella retorica, mostrò un’altra napoletanità, fatta di un diverso modo di stare al mondo, umbratile, malinconico, a tratti crepuscolare, l’antitesi esistenziale del cliché del napoletano tipo.
Partire dalla tradizione, raccontare le radici, ma per provare ad uscire dall’immobilismo in cui sembrava si fosse costretti ed immergersi nella contemporaneità, perché qualcosa potesse cambiare.
Troisi fece a pezzi la Napoli della tradizione e della cartolina, abbatté gli stereotipi e fornì per la prima volta chiavi di lettura diverse dal volto della città e dei suoi abitanti, per traghettare Napoli e la napoletanità nel nuovo tempo, nella contemporaneità, perché il futuro premeva e bussava prepotente.
Con il suo sguardo malinconico ed il “sorriso a metà”, Troisi scrutava il volto cangiante e complesso della realtà, restituendo agli spettatori spaccati di una quotidianità spesso cruda e dal retrogusto amaro, attraverso una sorprendente, irresistibile combinazione di ingenuo candore e lucida capacità di analisi delle dinamiche sociali, politiche, culturali. Il personale vissuto, ricco e poliedrico, in uno con una profonda coscienza di classe, lo hanno reso narratore appassionato ed autentico della complessità di Napoli, fatta di identità solide ed equilibri precari, slanci vitali ed apparente rassegnazione, senso di appartenenza e disuguaglianze. Lo ha fatto portando in scena a più riprese il tema del sacro, rappresentando in modo plastico l’attitudine dei napoletani a cercare nel cielo risposte altrove irreperibili.
La sua capacità di cogliere e comunicare il disagio della gente comune, si trasformava nelle sue opere in una denuncia “a voce bassa”, veicolata con una sorta di timidezza fanciullesca attraverso la sagace ironia, ma non per questo meno deflagrante ed efficace per la critica schietta e senza filtri che ne derivava: una sorta di rivoluzione gentile che tentava innanzitutto di liberare Napoli dalle etichette e dagli stereotipi, spinti fino all’iperbole e, proprio per questo, depotenziati, quasi neutralizzati dall’insostenibile ed inverosimile effetto caricaturale. Così contemplata dal diadico punto di vista di Massimo, al contempo rigoroso e sentimentale, Napoli diviene molto più che mera ambientazione delle vicende narrate, ma è essa stessa materia narrativa, che prende vita nelle doti espressive, fatte di mimica e gestualità inimitabili.
L’opera ultima che Troisi ci ha consegnato, appena prima della sua prematura dipartita, si rivela una sorta di testamento, mettendo al centro, o meglio elevando ad elemento propulsore di tutta la vicenda, la poesia, che di fatto ha costituito il fil rouge, la costante di tutta la sua esistenza. “Il postino” (1994), con le sue cinque candidature ai premi Oscar 1996 (miglior film, migliore regia, miglior colonna sonora, miglior attore protagonista, miglior sceneggiatura non originale), ha come protagonista un Troisi che, come in ogni suo film, forse più che in ogni sua altra opera, ha “l’anima sul volto”: trasparente, incantata, a tratti sofferente, guidata dalla curiosità e dallo stupore che solo chi possiede in sé l’essenza poetica è in grado di custodire, contro ogni fluire del tempo.
Nel libro di Donatella Schisa, le testimonianze di chi lo ha incontrato ci restituiscono frammenti di questa essenza poetica che, messi insieme, ricostruiscono il valore dell’uomo e dell’artista, accompagnandoci, a distanza di trent’anni dalla sua scomparsa, in un intenso pellegrinaggio attraverso i luoghi fisici e sentimentali di uno dei più grandi geni del Novecento.
P.S. Caro Massimo, grazie per averci fatto capire che non ripartiamo mai da zero, ma almeno da 3, come gli Scudetti (sei stato profetico!).
L'autrice
Donatella Schisa, avvocato, lettrice appassionata, conduttrice di un circolo letterario, da alcuni anni si è dedicata in prima persona alla letteratura. Tra le sue pubblicazioni: Il posto giusto; La nebbia quando sale; Lettere a mia madre e non solo; Lunario minimo.
È curatrice di antologie per Giulio Perrone Editore.