Elezioni, la fuga dalla politica
Nella città metropolitana di Napoli si è votato in tre importanti comuni: Cercola, Marano e Torre del Greco. Si può ragionevolmente dire che in tutti e tre vince l’astensionismo, senza nulla togliere ai sindaci eletti ai quali va il mio augurio.
Secondo una tendenza diventata praticamente norma, al secondo turno la percentuale dei votanti cala ancora di più perché viene meno anche la spinta dei candidati a consigliere. E se a Cercola e a Torre del Greco comunque si reca alle urne più o meno un elettore su due, a Marano non si arriva neanche al 30%. Siamo oltre la disaffezione, è proprio fuga dalla politica.
Una storiella racconta non senza un solido fondo di verità che ai politici non interessa la percentuale dell’astensionismo. Tanto si è eletti lo stesso e chi sceglie di non votare firma implicitamente una delega in bianco, assicurando nella stragrande maggioranza dei casi la propria indifferenza per tutta la durata del mandato. Io invece penso che una democrazia con un percentuale di astensionismo molto elevata sia per forza di cose una democrazia malata. Una cosa rispetto alla quale la politica dovrebbe interrogarsi, invece di fare spallucce.
La politica dovrebbe interrogarsi quando sceglie i candidati, quando elabora i programmi, quando sceglie le modalità di comunicazione attraverso le quali parlare alle elettrici e agli elettori.
Dovrebbe farlo scegliendo persone rappresentative dei territori, che ne conoscono le criticità e possono perciò trovare delle soluzioni. È questo il grande sforzo che bisognerebbe fare, convincere un numero sempre più rilevante di persone che votare serve a qualcosa. Se guardiamo il fenomeno a tutte le latitudini del mondo occidentale, ci accorgiamo che solo la costruzione di opzioni politicamente credibili può sconfiggere o mitigare disaffezione, indifferenza, apatia, pessimismo e sfiducia. È una lezione di cui tenere conto.