Domenica, 17 Novembre 2024

Il mio dolore per la morte del giovane ragazzo di Torre del Greco

di Sergio D’Angelo 

La morte del 18enne Giovanni Guarino, avvenuta per una coltellata alle giostre di Torre del Greco, è una storia che mi addolora profondamente ma non mi sorprende.

Via via che spuntano nuovi dettagli, si delinea un quadro che ho più volte denunciato perché lo si ritrova immancabilmente in quasi ogni episodio grave di cronaca nera che riguarda i giovani.

Due 15enni fermati, secondo gli inquirenti con prove schiaccianti. Entrambi già segnalati per episodi di violenza e protagonisti sui social di video girati impugnando pistole, contando grosse somme di denaro e inveendo contro “gli infami”. Uno è il figlio di uno spacciatore ai domiciliari, l’altro nipote di un camorrista di spicco.

Da un lato la vittima e un suo amico gravemente ferito ma per fortuna già dimesso, descritti come due bravi ragazzi, che escono di casa e dieci minuti dopo vengono raggiunti dalle coltellate. Dall’altro, se le accuse dovessero essere confermate, due adolescenti di ben tre anni più giovani che sono già la testimonianza vivente del fallimento di ogni opzione educativa, quella familiare, scolastica, sociale.

Non saprei trovare un’immagine più plastica ed evidente della contrapposizione fra le due città che sempre più spesso entrano in rotta di collisione.

La scorsa settimana ho visitato diversi quartieri della periferia napoletana. Ho trovato un degrado difficile da raccontare, case e nuclei familiari dove non ho scorto una sola di quelle scintille con le quali pur proviamo a narrare una periferia che nonostante tutto insegue il riscatto. Solo la città incattivita, dove i destini sono già segnati sulle facce dei bambini prima ancora che si facciano adolescenti. Dove servirebbe un piano di interventi sociali così imponenti da produrre un investimento generazionale, perché quello che vediamo oggi è il frutto di quanto non è stato fatto ieri.

Non parlo dei piccoli progetti esemplari. E neanche delle vittorie minute che finiscono sui giornali come storie di redenzione buone per un giorno solo, ma che per dimensioni non possono produrre una dinamica virtuosa di segno uguale e contrario. Parlo di grandi investimenti pubblici che costerebbero meno di quello che comunque spendiamo in perdita di coesione sociale, per sostenere azioni repressive e in termini di mancato sviluppo.

Non può esserci infatti un vero sviluppo nelle città incattivite dalla rabbia sociale, dove un ragazzino ammazza un altro ragazzino per uno sguardo o una spallata casuale. E dove possiamo invocare tutte le misure repressive che vogliamo, pur necessarie, ma serve prendere coscienza che però non serviranno.

 Serve invece la consapevolezza che il nostro modello sociale è fallimentare. È il primo passo per invertite la rotta.

Author: Redazione

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