Giovedì, 21 Novembre 2024

Ogni volta che un giovane commette un crimine, perdiamo tutti

di Sergio D’Angelo 

Ha ragione Mario Covelli, avvocato e presidente della Camera penale minorile di Napoli, la condanna per un minore è una condanna morale per la collettività, incapace di aver saputo adottare delle efficaci misure di prevenzione. In questi tempi di giustizialismo spicciolo, urlato quanto inefficace, qualcuno dirà che è una posizione buonista.

Io invece non vedo alternative concrete. Non solo sul piano etico, ma anche su quello dei risultati che ci dovremmo proporre di ottenere, ovvero la drastica riduzione dei reati commessi da minori.

In un dibattito in cui si chiede l’abbassamento dell’età in cui si è imputabili - nel Regno Unito l’hanno fatto e le gang giovanili continuano ad ammazzarsi a coltellate e a sfregiarsi con l’acido tirato in faccia - più forze dell’ordine come se Napoli fosse una città poco presidiata, l’unica misura davvero opportuna e adeguata è invece la prevenzione. Se non inquadriamo dentro questa cornice i fatti di cronaca nera che si verificano quasi ogni fine settimana e hanno come protagonisti i giovani, stiamo perdendo tempo. Nessuna ulteriore misura repressiva risolverà il problema.

Il punto è che la prevenzione è figlia di scelte politiche coraggiose e in controtendenza con quelle di questo governo. Si dice anche che è troppo costosa perché prevenire significa intervenire sul contesto di degrado economico, sociale e morale che spesso è lo scenario in cui si determina prima la devianza e poi la criminalità giovanile. Quindi a livello macro su disoccupazione, lavoro nero e precario, povertà, e sul piano territoriale con massicce dosi di politiche sociali. Ma non aspettiamoci niente di tutto questo, da un governo che in quei contesti sta intervenendo invece per sottrarre quel refolo d’aria che il Reddito di Cittadinanza ha rappresentato negli ultimi anni.

C’è poi un problema culturale che rende ancora più omogenei gli scenari delle periferie delle città occidentali. Quando ho scoperto per esempio che nell’ultimo decennio la Svezia, paese che associamo immediatamente al welfare, è balzata in vetta alle classifiche europee del crimine, soprattutto quello associato ai giovani e all’utilizzo di armi da fuoco, sono rimasto molto sorpreso. Ci sono addirittura quartieri a larga maggioranza etnica che è sconsigliato visitare. Crisi di un modello sociale che ha relegato gli immigrati nel ruolo di manodopera a basso reddito, rivelandosi incapace di integrarli nel contesto della società svedese.

Evidentemente, tanto a Napoli che a Stoccolma che a Londra e altrove, una società globale che mette in cima alle priorità della sua industria culturale, della comunicazione, della pubblicità, disvalori come la ricchezza a ogni costo determina un corto circuito fra la condizione che questi ragazzi vivono e l’aspirazione generalizzata al lusso e all’agiatezza economica. Il risultato è quello di giovani sempre più aggressivi e un’opinione pubblica spaventata che chiede più repressione che poi alla prova dei fatti si rivela del tutto inefficace. Bisogna spezzare questo meccanismo perverso. Servono politiche sociali e investimenti, perché la repressione costa più dello stato sociale e non risolve il problema.

Author: Redazione

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