Patrick Zaki, anche l’Italia deve fare il suo dovere
Sono profondamente amareggiato dalla condanna a 3 anni di carcere inflitta ieri a Patrick Zaki, che è stato immediatamente tradotto in carcere ma era in stato di fermo dalla mattina perché era già tutto scritto. Tre anni per aver pubblicato un articolo in cui denunciava le discriminazioni che in Egitto colpiscono la minoranza copta cristiana, alla quale la famiglia di Zaki appartiene.
Un chiaro caso di accanimento giudiziario, una vera ingiustizia. Ventidue mesi di detenzione durissima già scontati, durante i quali è stato sottoposto a numerosi maltrattamenti denunciati dal suo avvocato. Ora dovrà scontarne altre 14 perché questo tipo di processi non prevede in Egitto possibilità di appello. L’unica speranza è che il processo venga annullato oppure che il presidente Al-Sisi non firmi o gli conceda la grazia.
Non ripongo particolare fiducia in un regime autoritario come quello egiziano, ma le pressioni internazionali possono cambiare la situazione. Anche l’Italia deve fare il suo dovere, sempre che le dichiarazioni della Meloni subito dopo la sentenza non siano fuffa che vale meno degli affari. Come promemoria alla premier, ricordo che siamo ancora aspettando di poter processare gli ufficiali accusati di aver ucciso Giulio Regeni.
Patrick Zaki ha un solido legame con l’Italia, persino delle lontane ascendenze napoletane. È cittadino onorario di oltre duecento comuni italiani, tra i quali Napoli. Appena due settimane fa si è laureato con 110 e lode all'università Alma Mater di Bologna, con una tesi su giornalismo, media e impegno pubblico. Purtroppo in videoconferenza, essendogli stato negato il permesso di lasciare il paese. Adoperiamoci perché possa tornare in Italia e riprendere da ricercatore i suoi studi. Non lasciamolo solo.