Martedì, 03 Dicembre 2024

Biancaneve e l’assoluto kantiano

Biancaneve si salva da sola.

Greta Gerwig continua a parlare di donne e lo fa attraverso la rilettura di una fiaba che già fa discutere.

L’opera dei fratelli Grimm viene attualizzata o come è gergo comune dire oggi traslata nel nuovo politically correct.

Nell’ottica di una chiave liberatoria per un femminile vessato nei secoli, la Gerwig pare proponga una versione dove non c’è nessun principe salvifico che bacia Biancaneve e la sottragga al sonno della mela avvelenata, e non ci sono neanche i nani che supportano Biancaneve e dove lei trova rifugio per sfuggire alla matrigna.

Sembrerebbe una chiave contemporanea e metropolitana che strizza l’occhio alle donne e suggerisce una via di fuga alla dipendenza soprattutto emozionale dai rapporti. Quella dipendenza/stampella in cui molte donne indipendenti e realizzate comunque oggi finiscono, forbice e imbuto stretto su cui stemperare le ferite del non amore.

Le suggestioni possibili sono tante e a mio avviso tutte interessanti…

Ma il film è subito divisivo: c’è chi vede nella rilettura una proposta di grande attualità, c’è chi si erge a difendere gli archetipi nascosti nella fiaba, sostenendo che non vanno toccati, che il Principe rappresenta una sorta di animus junghiano e che i nani come ogni personaggio e aspetto della fiaba sono simboli che parlano al profondo.

Due visioni che potrebbero pacificamente coesistere in un’ottica laica….

Invece subito prende piede la polemica faziosa.

Personalmente mi piace sottolineare un terzo aspetto che ritengo affascinante come fenomeno sociologico e culturale delle comunicazioni di massa nella contemporaneità: il film non è ancora uscito nelle sale, si prevede uscirà nel 2024 eppure già se ne parla.

Interessante quindi che si stia discutendo in modo del tutto ipotetico di una possibilità.

Un tempo era uso comune esprimere qualunque parere critico dopo aver visto l’opera, oggi si dibatte e si discute sull’opera fantasma, quindi sul tessuto proiettivo che alcune parole topiche usate per descriverla sembrano suggerire.

È uso comune non leggere libri ma recensirli, farsi un’idea approssimativa di qualcosa e parlarne, non approfondire ma sentenziare, schierarsi senza sapere, non consultare le fonti ma scrivere saggi, pensare che una tecnica di marketing sostituisca la letteratura.

Dilaga una certa cultura del qualunquismo dogmatico.

Direi che il dogma ha sostituito l’approccio culturale laico, quindi un film non è più rappresentativo del soggettivo, quindi della visione del regista che comunica una possibile lettura del reale su cui magari si può non essere d’accordo ma che affascina per contenuto artistico, per originalità o per divergenza…  L’arte è diventata dogma, veicola un presunto assoluto, una velata imposizione, perciò il sono d’accordo/non sono d’accordo supera qualunque valutazione estetica.

Ecco quindi il paradosso di una critica anticipata a un film non visto.

Prima di comprendere i piani di lettura che propone la regista ci si inerpica sulla necessità di ribadire i punti fermi che ovviamente fanno parte dello spettatore che sente prioritario rivendicarli ma che non c’entrano molto con l’espressione soggettiva e autoriale dell’opera artistica.

Prima di fare spazio alla diversità, c’è nella società liquida il terrore dell’inconsistenza/inesistenza, di scomparire senza possibilità di ribadire, e quindi la necessità di un dogma da difendere, anche in campo artistico.

E il dogma, con cui si cerca a tutti i costi di far quadrare cerchi, di offrire soluzioni e risolvere teoremi rimpicciolisce l’arte fino a farla scomparire sullo sfondo.

Se Manzoni fosse vissuto ai nostri tempi “I Promessi Sposi” sarebbero stati un’opera da svilire per contenuti cattolici, non un romanzo magistralmente scritto.

Sorprende nella società del dissacrante la ricerca dell’assoluto nei luoghi e nei modi più disparati…

Una sorta di imperativo categorico kantiano che non accetta ipotesi.

Ma l’arte non è dogma. È il suo contrario. Accade sulla congiuntura del possibile e del molteplice, dove si incontrano mille letture in apparente opposizione e lì trovano spazio e convergenza.

L’arte non chiude cerchi, apre dialoghi. Sorprende, suggerisce la pacifica convivenza con il diverso, rompe il preconcetto.

Ovviamente una critica che nasce prima dell’uscita del film ha già scelto il preconcetto e condannato l’arte al silenzio.

Un silenzio tanto più grande perché incompreso.

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Chiara Tortorelli
Author: Chiara Tortorelli
Creativa pubblicitaria, editor e scrittrice, vive a Napoli dove inventa nuovi cultural life style: come presentare libri in maniera creativa e divergente, come scrivere i libri che ti piacciono davvero, come migliorare la creatività e il benessere personale con metodologie a metà strada tra stregoneria e pensiero laterale. Il suo ultimo libro è “Noi due punto zero” (Homo Scrivens 2018). Cura per Napoliclick la rubrica “La Coccinella del cuore”.

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