Autosvezzamento. Dal latte materno a salsicce e friarielli è un attimo
Fra le tappe più temute da ogni neo-genitore durante i primi mesi di vita del suo bambino vi è sicuramente il momento dello svezzamento, ossia quando il pargolo passa dall’assunzione di solo latte – sia questo materno o in “formula” – al cibo vero e proprio. Fra libri dedicati al tema, pareri pediatrici, consigli online nelle menti di madri e padri i dubbi sembrano aumentare anziché risolversi: Sarà sufficiente? Sarà sano? E soprattutto, sarà sicuro ciò che do da mangiare a mio figlio?”.
Dalla seconda metà degli anni ’70 sono le aziende di “baby food”a rendere tutto più semplice e notevolmente dispendioso. Pappine pronte, omogeneizzati, succhi e creme promettono di fornire ai più piccoli tutti i nutrienti di cui hanno bisogno, saziandoli in tutta sicurezza con un evidente risparmio di tempo e fatica. Oggi il ricorso a questo “cibo facile” è stato messo in discussione soprattutto alla luce delle ricerche che mettono in evidenza una correlazione fra utilizzo di baby food e obesità.
Secondo la classificazione Nova, proposta nel 2010, il baby food appartiene alla categoria degli alimenti ultraprocessati, ossia realizzati a partire da alimenti naturali successivamente trasformati attraverso processi fisici, biologici e chimici, con tipica aggiunta di ingredienti e additivi, prima di essere consumati o preparati come pasti. A tale categoria appartengono anche bibite analcoliche, snack confezionati dolci o salati, tutti prodotti caratterizzati da una lunga shelf life (a lunga conservazione) e pronti da mangiare. Con la tendenza ad una maggiore consapevolezza alimentare - grazie ad una più accessibile informazione a riguardo e a progetti di sensibilizzazione nelle scuole - in questi ultimi anni si osserva una tendenza ad allontanarsi dal baby food per ritornare ad una alimentazione che mette al centro la materia prima e che considera fondamentali le abitudini famigliari. Stiamo parlando dell’autosvezzamento.
Autosvezzamento. Non solo carota, zucchina e patata
Con il termine autosvezzamento si intende il passaggio armonico dall’alimentazione esclusiva con latte materno a quella solida utilizzando tutto ciò che compone i pasti della famiglia. Non più quindi vasetti di mela o brodini di zucchina, carota e patata: dalla pasta e lenticchie al risotto con spinaci, passando dal salmone con patate al petto di pollo, il bambino può condividere con “i grandi” ciò che si porta in tavola a patto che sia cibo sano e del “formato” adatto a lui. Molto importante è, insieme a cosa si mangia, anche il ”come”. Chi decide di adottare questa “tecnica” di svezzamento tende a condividere il momento del pasto: si mangia quindi tutti insieme, rendendo quel momento (nell’ambito delle vite frenetiche che oggi tutti conducono) un’occasione di convivialità e gioia. “Si è osservato che le cattive abitudini alimentari sono più legate al modo in cui si mangia rispetto a cosa si mangia: uno svezzamento troppo precoce, mangiare troppo velocemente e da soli, consumare i pasti davanti ai videogiochi o distraendosi facendo altro sono tutti comportamenti dannosi che si ripercuotono sul rapporto che il bambino avrà anche da adulto con il cibo” dichiara Sonia Ritondale, pediatra napoletana. “Anche l’abitudine a svezzare il bambino troppo presto non è indicata: il latte – meglio ancora se materno – rimane fino ai 12 mesi il principale alimento”. Decidere di abbracciare la pratica dell’autosvezzamento non è certo cosa facile. Si deve avere la pazienza di mettere a contatto il bambino con ogni tipo di cibo, allineare i propri orari ai suoi. Ed essendo inoltre una pratica che raccomanda il ricorso a consistenze diverse da quella unica della crema, determina anche una certa dose d’ansia per il rischio soffocamento. “Consiglio a tutti i genitori e ai famigliari che hanno a che fare con il bambino di seguire un corso di disostruzione delle vie aeree per gli infanti con cui imparare le manovre fondamentali per fronteggiare un caso di soffocamento – Prosegue Ritondale – è importante che il bambino si confronti con diverse consistenze ma lo è altrettanto che il pasto non sia per i genitori un momento di angoscia”.
(Nella foto) La pediatra napoletana Sonia Ritondale
Decidere di svezzare il proprio figlio con ciò che si porta in tavola non deve però diventare un’ossessione. Perché la serenità famigliare non deve essere ostaggio dell’ora dei pasti. “Sono stata nipote e figlia di pediatri e ho fatto mie molte raccomandazioni di mio nonno e mio padre basate semplicemente sul buon senso. Non amo gli assolutismi. Non credo che demonizzare il baby food sia una cosa buona. In determinate condizioni avere del cibo pronto e sicuro può essere un valido aiuto: pensiamo ai contrattempi che si possono verificare in una giornata lavorativa o a quando si è in vacanza in un luogo in cui non si è sicuri di poter preparare cibo di buona qualità e in condizioni igieniche ineccepibili. Ricorrere ad esso può semplificarci la vita e non crea danno al bambino”.
Ciò che invece bisogna tener d’occhio nell’alimentazione dei più piccoli è il ricorso al “dolce”. Dopo cinque – sei mesi di solo latte, spesso la prima cosa che il bambino assaggia è l’omogeneizzato di mela. Ciò porta il passaggio da un cibo già dolce come il latte ad un altro che lo è ancor di più. “Ho fatto mio un consiglio che dava mio padre ai genitori dei suoi pazienti: svezzare il bambino a partire dal sapido. Iniziando, ad esempio, con un cucchiaino di zucchina frullata. Ciò porta il bambino a conoscere davvero nuovi sapori e a non legare il concetto di cibo solo al dolce”.
Non certo salsicce e friarielli dunque, ma il passo è breve. Un’alimentazione sana dovrebbe essere per grandi e piccini la quotidianità, con le dovute eccezioni. E così, anche per i più piccoli, l’accesso alle prelibatezze napoletane è solo questione di tempo.
Il libro:
Lucio Piermarini “Io mi svezzo da solo! Dialoghi sullo svezzamento” (Ed. Bonomi, 2008) euro 14,90