Gianfranco Gallo: “Essere napoletano è un valore aggiunto, non una facciata”
Applaudito già a Montréal dove ha vinto il premio come “miglior film LGBT”, uno dei sette riconoscimenti ricevuti in pochi mesi a livello internazionale, l’ultimo lavoro di Gianfranco Gallo dal titolo “Dodici repliche” incassa il favore del pubblico nostrano, risultando tra i film più apprezzati sulla piattaforma Amazon Prime.
Scritto, diretto e interpretato dall’attore napoletano –premiato al Best Actor Award di New York come “migliore attore regista” – Dodici repliche racconta la storia di Andrea Michelini, popolare attore di teatro omosessuale che porta il giro il suo spettacolo di successo “Banana Blu”, tra problemi di salute e una serie di dinamiche familiari che metteranno a dura prova i suoi principi. Siamo nel 2016, anno della legge Cirinnà che tanto ha fatto per i diritti delle coppie omosessuali, consacrando le unioni civili.
Ecco cosa ci ha raccontato Gianfranco Gallo del suo primo lungometraggio da regista, che vede in scena anche la figlia Bianca, prodotto da MAXADV con il sostegno di Film Commission Regione Campania, con un cast completamente made in Naples.
Come mai ha deciso di raccontare questo periodo storico?
Il film nasce da una sceneggiatura legata all’anno 2016, caratterizzato dalla legge Cirinnà. Volevo raccontare la storia del passaggio da un’omosessualità legata al passato, in cui per farsi accettare si era costretti ad interpretare uno stereotipo alla conquista dei diritti della comunità LGBT, attraverso la figura di questo personaggio, in realtà ispirato a persone realmente conosciute. Parlo di un mondo lontano in cui “i femminielli” erano maestri di vita e vivevano a modo loro, con una concezione di vita diversa da quella attuale, senza una vera presa di coscienza, convinti di non avere effettivamente diritti, quasi contrariati dalle stesse battaglie vinte dai movimenti, ad esempio in materia di unioni civili o famiglie arcobaleno.
Esiste ancora questo modo di pensare, secondo lei, tra le persone LGBT?
No, è un modo di percepirsi che non esiste più, molto probabilmente era legato a un modo di pensare vintage, tipico di quel tempo e di quella generazione. Il protagonista di “Dodici repliche” rifiuta tutto questo, pur essendoci dentro, forte dei suoi principi che ritiene intoccabili: alla fine risulta il più puro di tutti.
Come è nata l’idea fondante di “Dodici repliche”?
Il film nasce da una doppia esigenza: da una parte riprendere in mano una tecnica narrativa, usata da maestri come Lina Wertmüller, in cui ci si ferma sugli attori. Oggi, il cinema è cambiato, scappa quasi dagli interpreti come se avesse timore di indugiare sui primi piani: io ho voluto dare centralità a questo modo un po' antico forse di raccontare, in cui gli attori recitano davvero. Dall’altra, era naturalmente interessante il tema.
A un certo punto, al protagonista viene diagnosticata una leucemia fulminante, lui cerca comunque di andare in scena per queste “dodici repliche”, finché il figlio non prenderà il suo posto nella compagnia.
Quali sono le principali difficoltà che ha dovuto affrontare nel girarlo?
È stato molto impegnativo, abbiamo girato in piena pandemia, in zona rossa. Io ho fortemente voluto nel cast tutti attori di teatro, certo anche con altre esperienze di cinema e tv, ma dalla forte impronta teatrale in un momento in cui i teatri erano tutti chiusi e gli attori disperati (Gianni Parisi, Gianluca Di Gennaro, Roberto Azzurro, Elvis Esposito, Peppe Miale, Mariacarla Casillo, Lisa Imperatore, Margherita Di Rauso, Franco Javarone, Ester Gatta, ndr). Del resto, buona parte del film è girato all’interno del teatro e racconta di alcune dinamiche proprie di questo mondo.
Lei ha voluto girare a Napoli, senza mai “citarla” apertamente, e con un cast completamente made in Naples.
Abbiamo girato a Napoli, ma lo spettatore non se ne accorge, anche perché la maggior parte delle scene sono all’interno del teatro. Potremmo essere qui, come in qualunque altro posto del mondo. Il film non ammicca a Napoli, non era questo lo scopo, ma sono contento di essermi affidato a un cast completamente napoletano, compresa la manovalanza. Del resto, io mi considero un attore napoletano, dove l’essere napoletano è un valore aggiunto non una facciata.
Come definirebbe questo film?
Una piccola produzione, nello specifico il mio primo lungometraggio da regista, che vuole parlare a tutti, con il linguaggio universale dell’amore, di temi come i sentimenti ma anche la famiglia. Sono molto contento: è stato presentato al Napoli Film Festival, ha ottenuto molti riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale. Qualcuno mi ha persino detto che “sembra un film francese”, perché è molto diverso dal racconto contemporaneo, come dicevo prima, anche i dialoghi sono molto curati, ed è questa la vera forza.
Dove potremo vederlo?
Il film è uscito direttamente su Amazon Prime, è fruibile da lì. Mi fa piacere che stia avendo una bella risposta, lo vedo dai commenti che arrivano, tra l’altro da un pubblico molto variegato, che va dal giovane all’anziano. In tanti, mi dicono che si emozionano o commuovono, perché tocca corde profonde. Questa è una grande soddisfazione per me, significa aver centrato l’obiettivo.