Giovedì, 21 Novembre 2024

La valigia di Lorenzo

«Non ti preoccupare, vedi che ’o pizzirillo mo segna», dice sempre mamma, senza neanche alzare gli occhi dalla Settimana enigmistica, quando la faccenda in campo si complica o si mette proprio male. ’O pizzirillo.

Proprio come se fosse un fratello, un cuginetto, magari un pochino scapestrato, con quella faccia da schiaffi, quel sorriso bello, quella risata impertinente. ’O pizzirillo, sì, è un poco indisponente, ogni tanto ti fa penare, però è guaglione, è piccolo, è tutto da coccolare.

’O pizzirillo. Come uno di famiglia, perché è quello che Lorenzo Insigne è stato per noi. E come uno di famiglia lo abbiamo sempre trattato tutti, nel bene e nel male. Lo abbiamo coccolato e messo alla gogna, divinizzato e insultato. Da quando ha vestito per la prima volta la maglia del Napoli, ed era veramente un ragazzino, da quando poi è entrato in prima squadra nel 2012 il rapporto non è stato mai facile. Come con un amico stretto, come con qualcuno con cui ti puoi prendere tutta la confidenza che vuoi abbiamo vissuto una relazione complicata, ma passionale: l’abbiamo esaltato (tanto) insultato (a volte) criticato (tantissimo) e poi di nuovo esaltato. Insomma, l’abbiamo amato. Perché questo si fa, in fondo, con le persone che amiamo. Se teniamo a qualcuno le cose le diciamo in faccia, gli facciamo notare tutto, non gli perdoniamo facilmente nulla che a un altro di cui non ci frega niente avremmo condonato con leggerezza, e questo di certo non gli è mai mancato. Anzi.

Ieri al Maradona Insigne ha fatto le valigie per Toronto. E non parte leggero, Lorenzo. 

Porta con sé in Canada dieci stagioni fra alti e bassi, fra sogni favolosi, e cadute rovinose, anni da capitano, scudetti sfumati in alberghi di Firenze, partite con il Barcellona, il Real Madrid combattute a testa alta, spogliatoio spaccato, ritiri saltati. Gol esaltanti, pianti di gioia, lacrime di rabbia, gli abbracci di una città. 

Per l’ultima volta abbiamo scandito il suo nome, lo-ren-zo-in-si-gne tanto forte che anche questo entrerà in valigia, e forse una sola non basta. Nel bagaglio entrerà anche la fascia di capitano, e quella pesa tantissimo. Mi sa che la deve imbarcare. Pesa perché da lui, più che da altri, abbiamo preteso tantissimo: perché è un capitano napoletano, e doveva dare sempre il massimo, sempre tutto. E credo che nonostante tutto l’abbia fatto.

In valigia deve stipare anche 122 gol in dieci anni. È cresciuto, Lorenzo, sempre conservando la stessa faccia impertinente da scugnizzo e un talento inimitabile. Unico. Smisurato. E ci mancherà tantissimo, il vuoto sarà tremendo, anche perché, come uno di famiglia, lo abbiamo sempre dato troppo per scontato.

Il rapporto fra Lorenzo è Napoli sta tutto in quel rigore: lui si avvicina al pallone – e io che urlo Se lo sbagli ti corro appresso fino a Toronto – poi lo calcia, male, palo, ribattuta e gol di Di Lorenzo, poi si ripete per invasione, gol. Una metafora perfetta della nostra relazione. Complicata, sì, ma bella.

Io non ci posso pensare, non mi pare vero. Eppure dall’anno prossimo non urleremo più lo-ren-zo-in-si-gne.

Fai buon viaggio, divertiti, pensaci. Torna appena puoi. Perché questo stadio, questa gente, questa città, questo sangue e queste voci che urlano lo-ren-zo-in-si-gne, e piangono di nostalgia sono, e saranno sempre, casa tua.

Serena Venditto
Author: Serena Venditto
È nata a Napoli il primo agosto 1980, per festeggiare il compleanno della squadra. Archeologa e scrittrice, è autrice di una serie giallo-umoristica con protagonisti il gatto detective Mycroft e un gruppo di amici impiccioni, di cui l’ultimo è l’ebook gratuito “Malù si annoia. Quarantena in giallo per quattro coinquilini e un gatto”. Cura per Napoliclick la rubrica #Barsport

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