A Napoli comanda l’università? Secondo Fofi e Virgilio sì, con conseguenze negative per la città
di Sergio D’Angelo
Il sasso nello stagno l’ha lanciato domenica Goffredo Fofi con un fondo sul Corriere del Mezzogiorno. Una sassata scagliata con una certa potenza per scuotere le acque stagnanti, chiedendosi quanto sia grande il «ruolo che l’università ha oggi e non da oggi, specialmente in certe città dove ha contato di più… nel sistema di potere politico che le amministra». La domanda è retorica perché secondo Fofi, per quanto siamo di fronte a un fenomeno non indagato per colpevole reticenza da parte della stessa accademia e in particolare dai sociologi, questo potere è grande. A Napoli, per esempio, con un sindaco ex rettore della Federico II e molti assessori provenienti dal mondo accademico.
Sulla falsariga di questo discorso, sullo stesso quotidiano in edicola stamattina, Massimiliano Virgilio concordando con questa lettura si chiede «cosa succede in una città dove governa l’università?». Pur senza tirare in ballo i riferimenti alla massoneria che fa Fofi, auspicando comunque che vengano indagati a fondo i legami fra le logge, l’accademia e la politica, il suo giudizio è decisamente negativo. Non si sono raggiunti, secondo Virgilio, chissà quali risultati mentre ci sono almeno tre conseguenze negative del «governo dell’università».
La prima è una visione dell’accademia come luogo esclusivo ed elitario di formazione dei saperi che riflette un’idea anacronistica, in un mondo nel quale invece saperi e competenze si determinano invece in un contesto caratterizzato dalla presenza di soggetti plurali. La seconda riguarda invece direttamente la presunta incapacità gestionale di un mondo universitario che non è capace neanche di riformare se stesso, con le nostre università che perdono terreno e prestigio e sono quasi scomparse dalle classifiche di ranking internazionale. La terza è che sbandierare un impegno gratuito al servizio della pubblica amministrazione non mette al riparo da conflitti di interesse, soprattutto dopo «l’ondata oscena di privatizzazioni» che ha interessato il mondo universitario di cui parla Fofi e Virgilio riprende in un virgolettato.
È evidente che a meno di un anno dall’insediamento di questa giunta, alla luce delle criticità ereditate, non è ancora tempo di bilanci sull’operato e sull’efficacia dell’azione amministrativa. E pur tuttavia è altrettanto evidente che per governare serve consenso, perché questo non si esaurisce al termine della competizione elettorale, ma va ricercato e alimentato quotidianamente. Questo significa stabilire un rapporto vero con la pluralità degli interessi della città, ascoltando le persone, interpretando correttamente i loro bisogni e soprattutto coinvolgendo direttamente i cittadini nella costruzione degli strumenti di soddisfazione di questi bisogni. Con queste doverose premesse, si può dire già oggi che c’è da parte di questa giunta una difficoltà di connessione sentimentale con la città, perché la città non è adeguatamente coinvolta né nella costruzione partecipativa di queste risposte, né nel dibattito pubblico sulle scelte importanti e delicate che l’amministrazione è chiamata a compiere.
Che dipenda o no dalla natura accademica di questa giunta, e se questa natura sia o no autoreferenziale, come scrivono Fofi e Virgilio, non saprei dirlo con certezza, ma è un problema politico che va affrontato rapidamente e risolto proprio perché il consenso va coltivato.