Laggiù qualcuno mi ama, il film di Martone su Troisi: “Il suo cinema aveva la forma della vita”
Laggiù qualcuno mi ama è il film che Mario Martone ha dedicato a Massimo Troisi, in uscita proprio in questi giorni, in occasione di quello che sarebbe stato il suo 70esimo compleanno (era nato a San Giorgio a Cremano il 19 febbraio 1953). Un omaggio commovente al grande attore, regista e sceneggiatore che non sapeva solo far ridere e piangere, ma era anche capace di far riflettere sulle dinamiche sociali.
Un artista, un ribelle, un “intellettuale”, anche se in maniera spontanea e quasi inconsapevole, che, nei primi anni ’80, rappresentava quasi una avanguardia; il cui modo di fare cinema, improntato a una totale libertà, lo rendeva più simile a certi registi francesi che a qualunque cosa avessimo a quel tempo in Italia. È questo il filo conduttore che il regista di Nostalgia, che è anche la voce narrante del documentario, intende tracciare in questo emozionante viaggio nel mondo di Massimo Troisi, uomo e pensatore, cresciuto assieme alla sua poetica, dagli esordi in un piccolo teatro di San Giorgio a Cremano al film da Oscar Il Postino.
Un viaggio nel mondo di Troisi, uomo e pensatore: nelle sale il 23 febbraio
Ad accompagnare lo spettatore per mano in questo viaggio - tra immagini di repertorio, “pillole” dei capolavori di Troisi accompagnate immancabilmente dalla musica del suo grande amico Pino Daniele - ci sono i racconti di chi con Massimo aveva un legame speciale, a partire da Anna Pavignano, sua compagna del periodo giovanile e co-sceneggiatrice di alcuni suoi film. E poi le testimonianze di chi lo ha profondamente amato, come Francesco Piccolo, Paolo Sorrentino, Goffredo Fofi, Ficarra e Picone.
A tenere insieme le fila di parole, immagini e suoni, lo sguardo inedito di Martone, convinto, come dice proprio in una delle scene iniziali che “Il cinema di Massimo aveva la forma della vita, al centro c’era la vita e tutto intorno la politica”. È proprio questa prospettiva “sociologica” e la consapevolezza che questa figura, come quella dei grandi comici del passato, sia parte di un patrimonio (e di radici culturali) da tramandare e valorizzare, rappresenta uno dei motivi per cui vale la pena andare a vedere “Laggiù qualcuno mi ama”, nelle sale dal 23 febbraio.
Il femminismo di Troisi e l’influenza di Anna Pavignano
Anna Pavignano è una figura chiave in quella che potremmo chiamare l’educazione sentimentale di Troisi. Il suo nome appare nella sceneggiatura nei titoli di inizio di “Ricomincio da Tre” (1981) e “Scusate il Ritardo” (1983): questa giovane torinese, che si definisce una “femminista morbida”, è stata la donna con cui Massimo nella sua giovinezza ha praticamente condiviso tutto, dalla carriera alla vita, passando per una visione della società che non è più quella di matrice patriarcale che il cinema aveva rappresentato fino a quel momento.
È innegabile che al centro dei film di Troisi, soprattutto in una fase iniziale, ci fosse il “discorso sull’amore”, un discorso nuovo, in cui il rapporto uomo-donna era completamente cambiato.
Troisi si fa mettere in crisi dalle donne ed è la prima volta che accade in Italia: comincia così quella messa in discussione del maschile, sottolinea Martone, che rivoluziona anche il cinema, naturale riflesso della società. Pensiamo che fino a poco prima i modelli erano stati quelli di uomini forti e donne “dive”: al contrario, le protagoniste dei film di Massimo sono donne reali e forti, le stesse che scendevano in piazza a rivendicare i propri diritti. Del resto, tutto in Troisi è permeato di politica.
Il rapporto di Massimo con la morte e la voglia di esorcizzarla
Martone ci fa ascoltare per la prima volta la voce di Massimo che, ai tempi in cui era con la Pavignano, si lascia “sottoporre” per gioco a una specie di seduta di psicanalisi condotta dalla stessa Anna insieme a una sua amica. Un vecchio nastro conservato gelosamente dalla sua compagna e musa, che ritorna a galla, insieme a vecchi appunti di Massimo. Autocritico, severo con se stesso, fonte inesauribile di battute sulla vita, estremamente malinconico, il Troisi di questi diari è soprattutto un uomo che soffre di cuore e vive sapendo che il suo tempo sarà breve.
Nel docufilm di Martone, alcuni di questi scritti vengono letti da attori napoletani come Toni Servillo e Silvio Orlando: queste confessioni, più di ogni altra cosa, ci raccontano della sua fragilità, la stessa dei suoi personaggi. Una vulnerabilità che, a certo punto, diventa così pregnante da fargli sentire il disperato bisogno di esorcizzare il pensiero della morte. Ed ecco che arriva “Morto Troisi, viva Troisi” (1982), una sorta di finto reportage sulla sua ripartita; tema che ricorre anche in “No grazie, il caffè mi rende nervoso”, film dello stesso anno diretto da Gasparini.
Morte che arriva mentre Troisi gira l’ultimo film della sua vita, “Il postino” (1994), diretto dall’americano Micheal Radford, regista che Massimo aveva incontrato qualche mese prima a Roma chiedendogli di mettere in scena la storia di questo scrittore cileno di cui si era innamorato. Troisi ragionava e parlava in napoletano, come ci dicono quasi tutte le sue interviste caratterizzate da questo intercalare tra italiano e dialetto, non sappiamo come sarebbe stato oggi a 70 anni, ma sappiamo che conosceva il linguaggio universale delle emozioni. Ed è quello che Mario Martone vuole ricordarci nel suo “Laggiù qualcuno mi ama”, da giovedì 23 febbraio al cinema.
Laggiù qualcuno mi ama è una produzione Indiana Production, Vision Distribution e Medusa film in collaborazione con Sky; montaggio di Jacopo Quadri; fotografia di Paolo Carnera; soggetto e sceneggiatura di Anna Pavignano e Mario Martone; musiche di Pino Daniele, Antonio Sinagra e Luis Bacalov; vendite internazionali a cura di Vision Distribution.
Guarda il trailer
https://www.youtube.com/watch?v=Z7IXzHY6mtY