Non chiamatelo riscatto, se si chiama scudetto
La domanda ha cominciato ad aleggiare mentre appariva sempre più chiaro che il Napoli avrebbe vinto il campionato. Poi, puntuale come il più proverbiale dei cronografi svizzeri nonostante avesse battuto l’ultimo rintocco 33 anni prima, anche stavolta è esplosa in tutta la sua prevedibile retorica. Lo scudetto del Napoli è il riscatto della città?
Questa categoria del riscatto viene utilizzata da decenni per gli atleti afroamericani negli Stati Uniti. Ma gli africani furono portati in America in catene. Usati come schiavi nelle piantagioni. Anche dopo la fine della schiavitù dovettero lottare a lungo e con tenacia anche solo per sedersi dove volevano in un autobus come Rosa Parks, o per far parte di squadre in cui c’erano atleti bianchi. E non si può certo dire che oggi questa uguaglianza sia stata davvero raggiunta. Ma la domanda è un’altra: perché la stessa categoria del riscatto si applica agli scudetti del Napoli? C’è una sorta di non detto che farebbe di noi napoletani una minoranza etnica in Italia? E se questa condizione di minorità esiste, perché si pensa che possa essere riscattata da uno scudetto che resta nient’altro che un titolo sportivo?
Fu la stessa cosa ai tempi di Maradona. Pure allora l’Italia se lo chiese e più di qualcuno a Napoli fece propria questa lettura eterodiretta della città che si poteva riscattare col pallone.
Allora il centro storico era a sette anni dal terremoto del 1980 un groviglio dolente di impalcature. Qualche sfollato viveva ancora nelle scuole occupate, altri nei container. I più fortunati stavano ricevendo un alloggio nelle case popolari che negli anni sarebbero diventate “dei napoletani”, disseminate in tutta la provincia e oggi al centro di storie di degrado e cronaca nera. Era spettrale di notte, il centro storico. Quando camminavi sentivi l’eco dei tuoi passi. Non c’era neanche un bar aperto di sera. Giusto qualche locale molto sotterraneo a testimoniare che anche da noi esisteva una cultura underground capace di connettersi con l’Europa. Le piazze erano parcheggi. C’era molto da riscattare, ma non lo fecero né avrebbero potuto il pallone e Maradona.
La città di oggi che celebra il terzo scudetto è travolta invece dal boom turistico. È un’orgia mediatica che non ammette repliche e che si è sostanziata anche del turismo dello scudetto. Qualcosa che ha portato comunque tre milioni al giorno in città. Si sta cercando di capire in quali tasche stiano finendo questi soldi. In altre parole, se questo boom sarà in grado di produrre una inversione di tendenza, oppure sarà una spruzzata di coriandoli per camerieri, receptionist e addetti alle pulizie degli alloggi turistici nati come funghi, spesso impiegati brutalmente a nero o comunque a basso costo, precari e stagionali, che non impedirà alla città di continuare a perdere le sue energie migliori. Oggi si emigra al nord e all’estero più di quanto non si facesse ai tempi di Maradona. Evidentemente in questi trent’anni trascorsi da allora non ci siamo riscattati abbastanza.
Qualche giorno fa il rapporto Eurostat ci informava che la Campania è la regione più a rischio povertà d’Europa, ma nelle stesse ore è stato annunciato che il francese Rudi Garcia sarà il nuovo allenatore del Napoli. Lo scarso interesse che normalmente riscuotono le notizie sullo stato della città, in questo caso è stato comprensibilmente azzerato. Comprensibilmente perché a Napoli il pallone sussume tutto, quasi una conferma incontrovertibile della teoria secondo la quale il calcio ha la stessa funzione sociale dei combattimenti fra gladiatori che gli imperatori offrivano ai cittadini per fargli dimenticare la fame. Sarebbe una prova inconfutabile, se non fosse che invece a Napoli il tifo assume toni impropriamente politici, nel deserto paradossale della politica e all’ombra della rassegnazione. Una cosa come il Barcellona simbolo della Catalogna, prima antifranchista e poi indipendentista, ma senza l’indipendentismo catalano. Un fenomeno bizzarro da studiare.
Il tema della contrapposizione con le squadre del nord è molto sentito, con la Juve sabauda soprattutto. Eccolo qua il riscatto che ricompare: Napoli capitale di un sud povero e vessato che sconfigge il nord ricco e potente. Così viene raccontata. Gioca la nazionale? Sui social va in scena il copione del “Napoli is not Italy” perché Napoli è nazione, o almeno cosi si legge e così si scrive. Una cosa apparentemente tanto radicata da ipotizzare un diffuso sentimento civico capace di farsi proposta politica. Invece l’autonomia differenziata di Calderoli e della Lega - una cosa davvero antimeridionale su questioni decisamente più rilevanti del pallone - avanza a passi da gigante e nell’opinione pubblica napoletana non si muove foglia. Provate però a vendere un calciatore alla Juve, vi ritroverete le barricate virtuali sui social contro lo strapotere del nord.
Il sindaco Manfredi ha ordinato qualche giorno fa rimozione dei festoni e degli striscioni di plastica scadente che si stavano disfacendo. Il tono prevalente dei commenti è stato che in una città così sporca il problema non erano gli striscioni. Quanto Napoli sia sporca e quanto è invece qualunquismo da social è difficile dirlo con esattezza. Quello che però colpisce in questo ragionamento è il fatto che una città che sarebbe sporca tutto l’anno non indigna, come se fosse un fenomeno naturale e incontrovertibile di cui ricordarsi solo quando si rimuovono gli striscioni dello scudetto.
Bisognerebbe quindi chiedersi quale riscatto serva a questa città. Far sì che i nostri ragazzi se ne vadano solo per scelta e non per costrizione sarebbe un buon inizio, per esempio. E su questo non ci possono aiutare né l’ex Spalletti né Victor Osimhen né Kvaratskhelia. Purtroppo nemmeno lo scudetto.