Coppia aperta quasi spalancata: come la vita senza risposte fisse
Chiara Francini in Coppia aperta quasi spalancata, opera teatrale degli indimenticabili Dario Fo e Franca Rame, riproposta IL 19 gennaio al teatro Bolivar diretto dai Nu’ Tracks, con la regia di Alessandro Tedeschi, è una bomba.
Il testo quasi interamente incentrato sui dialoghi incalzanti, ironici, sorprendenti, dalla potenza di una lama che affonda e svela le verità inesplorate o forse fin troppo indagate della coppia, non lascia tregua e incanta lo spettatore ieri come oggi.
Scottante l’attualità dell’incomunicabilità, del desiderio d’intimità costretto a naufragare tra le maglie dei ruoli e della noia quotidiana, e di quell’amore che diventa insostenibile e che si riempie di parole che rimbalzano come palline di ping pong tra un protagonista e un altro, tra una scena e la successiva.
Non si rimpiange Franca Rame.
Chiara dalle mille sfumature, con una piena presenza scenica, è un capolavoro di ironia lavica sulla femminilità disperata, impossibile da chiudere in un cassetto.
Lei Cancro ascendente Stronza che non chiede ma pretende la dimensione assoluta del sogno/fiaba dove il marito poiché regolarmente sposato “dovrebbe” coniugare nel copione corretto la parola amore, declinandola nel sentimentalismo comune, in quel fare l’amore regolare e con passione, si scontra con l’assolutamente adolescente di Alessandro Federico, che non vuole crescere e che cerca nella “coppia aperta quasi spalancata” le modalità per confermare la sua identità maschile.
Accanto a una Francini nel suo massimo splendore, Alessandro Federico, che riveste i panni di Dario Fo non è da meno.
Improbabile ingegnere che cerca di sfuggire al previsto politically correct, passa da una donna a un’altra, da una fanciulla a un’altra e vorrebbe nella moglie una complice/madre, che lo affianchi e lo protegga nelle sue disperate scorribande alla ricerca di conferma. Esemplare di un maschile in bilico, nasconde in quel foulard trendy che porta al collo l’ansia di non sapere chi è, cosa vuole, al di fuori di quella fame avida di portarsi a letto l’universo mondo.
Sotterraneamente, oltre i dialoghi e l’ironia, due mondi che non si incontrano, destinati a restare estranei, a non poter dialogare se non attraverso il punto di non ritorno. Mi uccido. Ti uccido. E solo così mi vedi.
Ti vedo recitava il film Avatar come summa di una filosofia amorosa.
Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes indaga le mille sfumature di un discorso ininterrotto e frainteso.
Sembra che ieri in quel ruggito del post Sessantotto, e oggi nel mondo dell’identità fluida e liquida di Bauman, non sia cambiata la scena.
Si incontrano sempre non nell’altro ma prima di tutto in se stessi un’anima immorale e un animale morale, come scriveva il filosofo ebraico Nilton Bonder nel suo splendido testo L’anima immorale, e le due istanze di un corpo morale che vuole restare e chiede certezze e di un’anima immorale che vuole cambiare, tradire e ricostruire nuovi equilibri, si scontrano continuamente in ciascun uomo e poi si riflettono nella coppia spesso cristallizzate in una sorta di impossibilità kafkiana, per cui per un componente amore fa rima con restare, con la saga dell’eterno ritorno, con un amore che si ripropone identico e che nutre con la sicurezza il corpo morale, e per l’altro invece amore è desiderio di tradire, di rompere uno schema e di nutrire con l’imprevisto e lo sconosciuto l’anima immorale.
Sono conciliabili queste due istanze, e fino a che punto?, si chiede “Coppia aperta quasi spalancata”, cercando la sintesi impossibile tra monogamia e pluriamore.
La domanda resta aperta senza risposte fisse, come la vita.
Per dare senso a quell’anima immorale che non conosce punti.
Aperta la coppia, aperta la domanda.
Restano gli individui, ciascuno con un suo dolore, una sua idiosincrasia, con un desiderio avido di incontro, spesso destinato a restare inesaudito.
Resistono e restano i paradossi, le trame tra grottesco e incompatibilità in cui si vanno a incistare i dialoghi che dalla scena teatrale riecheggiano le nostre vite, quei dialoghi tanto spesso improbabili dell’amore, resi impossibili dall’amore stesso, da quell’attrito fatto di eros e luogo comune, da passione che non si arrende a finire incastrata tra le righe della banalità prosaica e quotidiana, e intimità spietata.
Viaggiamo paralleli, ciascuno col suo bagaglio di proiezioni, desideri e voglia di abbraccio, tra struggente tenerezza e sarcasmo velenoso, a cercare spiragli, spifferi e porte aperte che se diventano spalancate ci distruggono.
Ma sono vitali per sfuggire al cerchio stretto di un'unica risposta e di un unico castrante amore.