Un amore finito due volte, la bellezza come aria dopo l'apnea
Un canto d'addio e, al tempo stesso, di bentornata: è una voce di donna che rompe il silenzio per dire, sussurrare, gridare il suo amore all'uomo che ha perduto due volte.
Insieme, lei e lui hanno vissuto infiniti attimi di bellezza, ma il sentimento non è mai evoluto in una quotidianità di coppia. Si tratta di una perdita ma anche di una crepa che finalmente si allarga. La prima volta in cui lo aveva perduto, lei aveva chiuso porte e finestre, ma ora questa donna si spalanca al coraggio di guardare i ricordi, dai più candidi ai più sofferti, mossa dall'istinto più irriducibile e prezioso: comprendere e comprendersi.
Con questo libro, candidato da Alberto Rollo al Premio Strega 2022, Benedetta Palmieri torna dopo 10 anni alla narrativa con una storia d’amore che finisce due volte (e la seconda fine chiude definitivamente anche la prima), un inno che è una discesa nel dolore, e nell'amore per riemergere nella rinascita.
Un romanzo nel quale viviamo un percorso fatto di piccoli movimenti nella perdita, nei distacchi, nei periodi oscuri, nelle manipolazioni della memoria, nelle voglie allegre e, infine, in una catartica riemersione da una vita sommersa.
Un gioco continuo di specchi deformati, di complementarietà, di ricerca, utilizzando, da parte della protagonista, la scrittura come maniera privilegiata, quasi unica, per comunicare.
“Anche se di barlumi, attimi, frantumi – ma c’è chi dice che la felicità sia questa”.
“Che ingenuità pensare che ci sia sempre tempo, che ce ne sarà ad oltranza. Che errore insanabile. Irreversibile.”
Un passaggio, lento ma irreversibile, dall’apnea al respiro, che trova la sua metafora in una favolosa descrizione di un gesto quotidiano, la preparazione del caffè:
“L’acqua, che si riscalda, si muove, freme, prende a bollire, passa attraverso la polvere di caffè, e poi la vedo compiere l’ultimo sovrumano sforzo di impennarsi su per il beccuccio, per abbandonarsi finalmente alla discesa – lenta e schiumosa.
Cerco di sentirmi lei (l’acqua, n.d.r.) …la riuscita di quel caffè leggero e combattivo è sempre un rinnovato sollievo”
Palmieri, attraverso la protagonista dal curioso nomignolo di Hornby, riflette anche su Napoli, a cui attribuisce, in un suo particolare periodo di fragilità, un ruolo quasi terapeutico, una sorta di cura da osservare rigorosamente nelle zone vicine al mare per far scorrere ampio lo sguardo dopo la clausura casalinga; un Luogo dell’anima che si prende la responsabilità di consolare attraverso la Bellezza, nonostante gli aspetti detestabili e con molto pudore.
“Questa città dove la felicità è uno scarto improvviso, un vuoto distratto nello spasmodico alternarsi di bruttezza e bellezza. Dove la morte è così viva, persino vitale, brulicante, bruciante;
È che la sua bellezza si prende sulle spalle la responsabilità di consolarti della sua bruttezza. Ti ripaga dell’inciviltà diffusa, della trascuratezza. Le strade sporche e dissestate, i bambini senza casco tenuti appesi dietro i motorini, la mancanza di lungimiranza, l’aggressività ed una determinata ignoranza, i pronto soccorso devastati, le auto contromano, gli impiegati svogliati, le bande di ragazzini disperati e stolidamente cattivi, il verde umiliato, il disordine; Quella bellezza ti risarcisce, ti consente di sopravvivere, è aria dopo l’apnea.”
L’autrice dedica, poi, alcune pagine, venate di malinconia e scetticismo, a Falcone e Borsellino, al loro ricordo, al loro sacrificio, allo spostamento d’aria prodotto da quelle maledette detonazioni, arrivate fino a tutti noi, cambiando le nostre vite.
“E se un Paese non ha saputo cambiare radicalmente ed istantaneamente davanti a ciò che accadde, se quelle immagini, la ferocia, gli scenari apocalittici, quegli esseri umani aggrediti nella loro giustezza e bellezza e grandezza – se tutto questo non ha portato l’Italia a diventare un’altra migliore, molto probabilmente non avverrà mai; Il giorno dell’attentato a Falcone è come se lo spostamento d’aria prodotto dalla detonazione fosse arrivato sino a me, investendomi”.
Infine, il ruolo terapeutico delle piante, presenti sin dalla prima pagina, un gancio, un simbolo, la loro cura come cura di sé,
“Formicola tra le righe un’urticante intelligenza delle cose del mondo, soffia sulle pagine un desiderio di riscatto, che coincide con la stessa sostanza della scrittura, riscatto essa stessa, a fronte della cattiva marea del nulla».
Un romanzo, quindi, che è una dichiarazione: adesso basta resistere, è tempo di ricominciare a esistere.
“La strada è l’unica salvezza”, cantava Gaber, e bisogna tornarci per conoscere chi siamo.
L’autrice
Benedetta Palmieri è nata nel 1973 a Napoli, dove è felice di vivere. Si è fatta conoscere dal grande pubblico nel 2011 con I Funeracconti (Feltrinelli), terzo classificato al Premio Tropea. Dopo dieci anni di silenzio, rotto solo da rare collaborazioni con riviste e giornali, Emersione segna il suo ritorno alla narrativa.