Bisogna lavorare sulla paura
I coltelli ricompaiono in città e per fortuna non ci scappa il morto. È triste dover dire “per fortuna” per due 15enni che escono, vanno a ballare e rischiano di non tornare a casa.
Succede purtroppo ciclicamente e con la stessa regolarità poi tocca alla ancora più triste guerra sui social fra quelli del “succede solo a Napoli” e quelli che “accade ovunque”. Non potrebbe esserci un esempio più avvilente della palude in cui è degenerato il dibattito pubblico nell’epoca dei social. Nemmeno io chiaramente ho la soluzione in tasca, però vivo come un dovere continuare a interrogarmi sulle cause e provare a individuare dei rimedi.
Quando parliamo di modelli positivi per i giovani non basta accusare i social, il cinema, la tv, le serie. Io credo che al massimo possano amplificare un disagio che comunque già esiste. A un ragazzo di una periferia qualunque non dobbiamo solo dire di essere onesto, ma dobbiamo anche dimostrargli che l’onestà paga, che lo porterà da qualche parte che non sia andarsene o accettare un lavoro sottopagato a casa sua.
Io che non ho nessuna ricetta in tasca penso che bisogna lavorare sulla paura. È quella che porta a uscire di casa con un coltello in tasca. E sta a noi disinnescarla prima che quella paura uccida. Perché col tempo si smetta di dire “per fortuna” se due ragazzini non lasciano la vita su una lama.