Giovedì, 19 Dicembre 2024

Non abbiamo fatto abbastanza per Francesco

di Sergio D’Angelo

Quello che è successo domenica notte a Mergellina potrebbe succedere sempre. E il fatto che non accade sempre è un dato puramente statistico. Forse fortuna. Benevolenza divina che non ci fa piangere un ragazzo di appena diciotto anni morto senza una ragione ogni giorno della settimana.

Potrebbe succedere sempre perché l’episodio feroce di cronaca nera che ci fa spaccare il cuore davanti alle foto di un ragazzino innocente, che probabilmente non ha fatto in tempo a realizzare neanche uno dei sogni della sua vita, è solo quello che emerge. Chi conosce questa città e questa epoca però sa che le condizioni potenziali ci sono sempre, anche quando non sfociano in un omicidio eclatante.

Non ho scritto niente in questi giorni. Sono rimasto attonito di fronte all’enormità di quello che è accaduto, ma soprattutto consapevole che non abbiamo fatto niente per impedire che accadesse. O non abbiamo fatto abbastanza. Sul piano puro e semplice dell’ordine pubblico, evidentemente fallimentare se quel lungomare è diventato luogo di ritrovo di rampolli dei clan cittadini spesso con la pistola addosso. Ma anche su quello che invece sarebbe il lavoro di lunga lena che andrebbe intrapreso e del quale ci si ricorda solo quando sull’asfalto resta un morto da piangere. Poi si spegne il clamore, si dimentica, la vita riprende fino all’episodio successivo, quando si tirano fuori di nuovo dal cassetto delle buone intenzioni gli stessi propositi buoni per ogni stagione.

Non è così che dovrebbe andare. Se siamo di fronte a un’emergenza - e sfido chiunque a negare che la condizione giovanile è oggi a Napoli e non solo a Napoli quella di una vera e sanguinosa emergenza - dovremmo dotarci di strumenti adatti a combatterla. Innanzitutto depotenziandola, lavorando ai fianchi del disagio, sottraendole energie prima che diventino comportamento criminale senza rimedio. Prima che un ventenne spari e uccida un ragazzo ancora più giovane. E se è un’emergenza ci vogliono risorse. Ce ne vogliono tante, adeguate all’asprezza del compito che ci si propone. Invece chiudiamo le scuole per un calcolo puramente economico che in realtà è miope perché quelle risorse e molte altre le spenderemo per la repressione e i processi. Chiudiamo i luoghi di aggregazione delle realtà associative, i teatri nei quartieri popolari, le palestre che levano i ragazzi dalla strada, per poi tornare a parlare di patti educativi e dispersione scolastica come se fosse un mero esercizio dialettico.

La dispersione scolastica è oggi. È oggi che un ragazzino ha smesso di andare a scuola. Oggi ha iniziato a frequentare cattive compagnie. Ed è sempre oggi che noi non abbiamo risorse sufficienti, operatori, programmi di contrasto al disagio economico e sociale in grado di intercettarlo. Dovremmo dircele una buona volta queste cose con la franchezza che meriterebbero, perché altrimenti sarebbe meglio tacere quando un ragazzo innocente di diciotto anni non torna più a casa.

Author: Redazione

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