A dodici anni col coltello in tasca: per fare paura, o perché hanno paura?
di Sergio D’Angelo
Il protagonista dell’accoltellamento avvenuto nel fine settimana a piazza Municipio è così giovane da far sembrare addirittura una “cosa normale” il ferimento a colpi di arma da fuoco del ventenne Antonio Gaetano davanti agli chalet di Mergellina accaduto nelle stesse ore, pare per la faida fra clan che sta insanguinando Pianura.
Dodici anni, solo dodici anni l’accoltellatore, che secondo le testimonianze degli amici girava abitualmente armato di “lama”. Dodici anni anche la vittima. Vivo per miracolo. Per due provvidenziali centimetri che hanno impedito a uno dei colpi inferti di raggiungere il cuore, trasformandosi da grave a letale. Erano anche amici, sembra, ma non correva buon sangue tra i due che si erano scontrati diverse volte, di cui una anche quella sera stessa.
A dodici anni non sei imputabile e quindi la vicenda ha dato adito a chi chiede che si abbassi la soglia della punibilità di soffiare con forza sul fuoco. Il punto è che la abbassi a dodici anni, ma magari il prossimo fine settimana a brandire un coltello sarà un ragazzino di undici, in una escalation al ribasso che sta cancellando l’infanzia, dopo aver abolito l’adolescenza per una percentuale non irrilevante di giovani in questa città. Sì, perché se Antonio Gaetano a venti anni è ritenuto un elemento di spicco del gruppo Marsicano e ha subito già due agguati, vuol dire che la sua adolescenza non è mai esistita nell’accezione che comunemente le assegniamo, ma è stata semplicemente una palestra e un viatico per il crimine che conta, quello che paranze sempre più giovani stanno provando da alcuni anni a strappare di mano agli esponenti storici dei clan.
Dall’altra parte di quelli che vogliono abbassare l’età in cui si è penalmente perseguibili, ci sono quelli come me. Attenzione, non vivo in un mondo utopistico in cui tutto si può risolvere con la dialettica, il confronto e le buone maniere. Sono purtroppo consapevole che le forme di contrasto devono essere adeguate alla minaccia. Tuttavia sono convinto anche che la spirale non può avviarsi solo ed esclusivamente sul piano della repressione. Chi è questo ragazzino dodicenne? Chiediamocelo. Da che famiglia proviene? Va a scuola, o fa parte dei numeri di quella enorme dispersione scolastica che non riusciamo ad arginare? E soprattutto, la domanda che mi sembra più importante pormi è chiedermi e chiedervi perché a dodici anni gira col coltello. Lo fa per fare paura, o perché ha paura? E se ha paura, quale mondo abbiamo costruito se un ragazzino pensa di doversi difendere a coltellate?
Il padre del ferito ha dichiarato a Repubblica che «A Napoli tutti i ragazzi stanno ogni giorno così in mezzo alla via. Quello di mio figlio non è il primo caso e non sarà l’ultimo». Ecco, io partirei da questo, senza criminalizzare il genitore della vittima, ma anche senza accettare che stiamo semplicemente aspettando che accada la prossima volta. Soprattutto noi amministratori, quelli più consapevoli che le nostre politiche sociali, per budget e risorse umane, sono dei temperini spuntati di fronte alle lame riposte nelle tasche di questi bambini. Pronti per niente, per uno sguardo ritenuto di troppo, a tirarle fuori per ammazzare altri bambini. E noi non sappiamo neanche chi sono e perché lo fanno. Questa è la nostra colpa più grande.
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