Sabato, 16 Novembre 2024

Babygang, mai abbassare la guardia: rischio devianza anche in contesti non degradati

Dodici anni, dodici. Questa l’età dei ragazzi – ma forse potremmo dire poco più che bambini, almeno anagraficamente – che sono stati protagonisti della nuova escalation di episodi di violenza registrata nei giorni scorsi a Napoli, dal centro cittadino alla provincia. «Ragazzini che escono di casa già con il coltello.

Spesso si trovano ad uccidere, sì proprio così, uccidere, in totale incoscienza». È un quadro agghiacciante quello che traccia Margherita Di Giglio, magistrato di sorveglianza del Tribunale dei minorenni di Napoli.

Lei che, tutti i giorni, ha a che fare con quelli che in gergo si chiamano “giovani adulti”, ragazzi appena imputabili che a soli 14 anni devono rispondere di reati gravissimi, omicidi, tentati omicidi, rapina aggravata. «La delinquenza minorile è una vera emergenza, un fenomeno dilagante, oltre anche quello che viene rappresentato dai media, e più difficile da gestire rispetto a quella adulta per certi versi», racconta la Di Giglio. Che raccomanda: «Mai abbassare la guarda, il rischio devianza può annidarsi anche in contesti ‘normali’, non segnalati come degradanti, non bisogna sottovalutare possibili segnali».

Criminalità minorile: problema atavico o emergenza?

La criminalità minorile, dalle nostre parti, è un problema legato sicuramente in parte alla malavita e alla camorra, presenti sul nostro territorio; ma c’è anche una parte che prescinde dalla criminalità organizzata, legata piuttosto al bullismo e alla mera violenza che imperversano tra i nostri giovani, al di là del dato geografico. Fenomeni che sono il frutto di una mancanza di valori, a partire dal rispetto della vita.

Abbiamo visto che l’esplosione di violenza per le nostre strade riguarda sempre di più ragazzini…

È vero, sono sempre più piccoli e io non ritengo, come molti suggeriscono, che sia risolutivo un abbassamento dell’età imputabile. Il carcere non serve in molti casi, il lavoro da fare è un altro: bisogna partire dalla famiglia, andare nelle scuole, investire nel sociale. Bisogna sradicare questi ragazzi da fenomeni di devianza, pensare a dei percorsi alternativi quando ci sono contesti familiari problematici, agire sulla prevenzione della devianza minorile prima di arrivare al recupero.

Da che contesti vengono questi ragazzi?

Oggi il rischio devianza è dietro l’angolo: arrivano da noi giovanissimi che vengono da contesti ‘regolari’, tranquilli, non degradati. Non tutti appartengono, come dicevo, a famiglie malavitose o comunque multiproblematiche. Perciò mai sottovalutare possibili segnali di rischio, mai abbassare la guardia con questi giovani, mai.

Quali sono i reati più frequenti?

Spiace constatarlo ma purtroppo proprio i più piccoli sono gli autori di reati gravissimi: omicidi, tentati omicidi, rapine aggravate, presenti quasi in numero maggiore tra di loro che tra gli adulti. Tra l’altro, questi giovani adulti appaiono anche più tracotanti, refrattari alle regole, perciò più difficilmente gestibili.

Perché si arriva a uccidere a 13 anni?

La verità è che questi ragazzi spesso non si rendono conto: parliamo di minori che escono di casa col coltello, per loro è un accessorio, è normale come portarsi dietro il cellulare. Magari accoltellano per reagire a uno sgarro ricevuto, cose di poco conto, agendo in assoluta incoscienza. E anche la galera non sempre aiuta, perché la vivono in manera scanzonata. Per quanto riguarda reati come la rapina, vedono nel crimine lo strumento per raggiungere il guadagno facile, anche se magari la famiglia ha trasmesso loro il valore del lavoro onesto, loro vogliono la cosa più remunerativa e meno faticosa.

Cosa pensa di serie come “Mare fuori” che tanti giovanissimi vedono con interesse? Possono trasmettere modelli negativi?

Personalmente ho visto questa serie e mi sembra fatta bene, anche se avrei suggerito agli sceneggiatori di consultare degli addetti ai lavori prima di girare dato che, nella rappresentazione dell’amministrazione della giustizia minorile, mancano figure chiave, come appunto, quella del magistrato di sorveglianza. Ma, a parte questo appunto tecnico, non penso che serie del genere possano realmente suscitare un potere emulativo o trasmettere modelli sbagliati; piuttosto hanno il merito di far conoscere un fenomeno poco conosciuto, come la devianza minorile. Ho visto che molti ragazzi sono stati incuriositi da questo racconto, di cui hanno colto soprattutto il messaggio positivo, quello del riscatto sociale, anche perché emerge chiaramente dalla fiction che il crimine non paga. Almeno mi auguro che sia passato questo.

 

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Maria Nocerino
Author: Maria Nocerino
Sociologa e giornalista professionista, è specializzata nel giornalismo sociale. Ha collaborato con l’agenzia di stampa Redattore Sociale e con il quotidiano Roma per le pagine della Cronaca. Collabora con la rivista Comunicare Il Sociale.

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