Strepitoso Lino Guanciale al Bellini

È un grande atto di coraggio quello che fa Lino Guanciale, al Teatro Bellini fino a lunedì 31 marzo con “Ho paura torero”, mettendo in scena un inno alla libertà di esistere e di essere ciò che si vuole.
E ricordando agli spettatori che lo conoscono per le fiction televisive – una per tutte, quella del Commissario Ricciardi, dove è il tenebroso poliziotto dal ricciolo ribelle – che lui è, innanzitutto e soprattutto, un attore di teatro a 360 gradi. Che qui firma la drammaturgia insieme con Carlo Longhi, vestendo il ruolo del “drammaturg”, il modo moderno di fare teatro, dove gli attori collaborano alla sceneggiatura. Moderno è, in effetti, tutto l’allestimento dello spettacolo, che alleggerisce le tre ore di messinscena con il palco mobile, gli spostamenti degli attori in platea, l’ utilizzo di filmati d’epoca e di spezzoni di film, i dialoghi intervallati dalle narrazioni descrittive in terza persona affidate agli attori. Guanciale e Longhi riescono così a trasporre sul palcoscenico le diverse stratificazioni del romanzo di Pedro Lemebel, ambientato negli anni della dittatura cilena di Pinochet, a partire dall’ultimo discorso del presidente Allende nel 1973 prima di essere defenestrato dai fascisti, fino all’attentato fallito al dittatore nel 1986. Guanciale è la Fata dell’ Angolo, trans di mezza età che si è sottratta alla strada reinventandosi un lavoro da sarta, con clienti le gran dame dell’ aristocrazia cilena. Cresciuta tra la gente e la miseria di Santiago, la Fata ci fa immergere senza troppi drammi in un’ atmosfera rarefatta di sentimenti e di lotta politica, dove lei/lui sta al gioco dell’ amore (che oggi chiameremmo narcisistico e patologico) di un giovane socialista, Carlos (Francesco Centorame) che la illude e la tiene legata, la usa per nascondere armi e organizzare attentati a casa sua, la ricompensa con gite fuori porta e con l’idea di un amore impossibile che ogni volta sembra infrangersi come il sogno rivoluzionario. La tragedia sfuma nei toni della commedia, con uno straordinario Lino Guanciale che recita, canta, accenna passi di danza, è femminile senza ostentare femminilità, ma con la delicatezza, la dolcezza e persino la pietas delle donne di un tempo. Alla lontana, e sicuramente senza la deviazione macchiettistica, ricorda i femminielli dei Quartieri Spagnoli, più mamme-matrone che trasgressive fate senza sesso e senza età. Bravissimi anche gli altri protagonisti, tra cui spicca l’ilarità strillata di Sara Putignano che si trasforma in una Jackie Kennedy sudamericana, vanesia e irresistibile nei completini finto Chanel quando tratta da fantoccio il tiranno Augusto Pinochet, chiamandolo “maritoooo” come un servo della gleba qualsiasi. E Mario Pirrello è perfettamente calato nei panni di un dittatore pigro, omofobo e criptochecca, indifferente alla moglie come al mondo intero, risvegliato solo dal confronto con l’omosessualità evidente di qualche militare o dal pensiero che, sul suolo del suo dominio, possa posarsi il didietro di qualche trans.