Lino Guanciale straordinario al Bellini
Niente ciuffo né sguardo perso nel vuoto, niente impermeabile col bavero alzato. Non è il tenebroso ed enigmatico Commissario Ricciardi ma tutti noi alle prese con il dolore della solitudine e dell’abbandono Lino Guanciale in “Napoleone. La morte di Dio” di Davide Sacco, in scena al teatro Bellini di Napoli fino a domenica 12 maggio 2024.
Uno spettacolo intimo, scarno, dove Guanciale dà grande prova di sé, accompagnato dal canto senza strumenti di Simona Boo, interpretando un figlio orfano di un padre amatissimo: che ora è Napoleone, ora è Dio, ora è forse solo un uomo. La storia è quella narrata da Victor Hugo, cronista d’eccezione a Parigi il 15 dicembre 1840, vent’anni dopo la morte di Napoleone, che finalmente non viene più considerato «socialmente pericoloso»per la patria e può ritornare in Francia per la sepoltura. “Il cielo si fa nero. I fiocchi di neve lo seminano di lacrime bianche.
Sembra che anche Dio voglia partecipare ai funerali”, scrive Hugo, e partendo da lui Davide Sacco intreccia più voci in quello che è un monologo straordinario sulla morte, dove il padre si confonde con l’eroe, il mito con l’umano, il pianto pubblico con il dolore privato. Napoleone che amava i cappelli usati, perché così non facevano male. Napoleone che si ritira con poche cose, e mantiene un’unica fede da trasmettere al figlio: quella nella madre Francia. Napoleone che è il più grande degli imperatori e l’ultimo degli uomini: eccolo, nella triste e spoglia banalità della morte, rappresentato nella nenia del figlio, che è anche il canto triste e spaesato dell’uomo rimasto orfano di punti di riferimento, solo a decidere del suo destino nel mondo.
È la tragedia moderna dell’essere umano che si ritrova nella rivoluzione copernicana, dove non vi sono più le certezze statiche di un Dio esterno che tutto muove e a cui tutto fa riferimento, ma esiste solo uno smarrito Robinson Crusoe alla ricerca del suo posto in un universo prima sconosciuto. Guanciale è bravissimo nell’essere voce e sentimento, figlio perduto e superuomo: parla ora con il tono della cronaca e ora con quello dell’afflizione, restituisce nel canto – con Simona Boo – il senso delle parole mancate, dell’afflizione di un’umanità perduta e senza guida, che, ieri come oggi, chiede a tutti di non essere né vincitori né vinti, ma di restare uniti e solidali. Perché dopo c’è solo la morte.
(ph. Flavia Tartaglia)