Venerdì, 22 Novembre 2024

Turandot tra il pop e il fantasy, successo al San Carlo

Un’auto incidentata calata dal soffitto, neon che riportano i “concetti chiave” dell’opera, videoproiezioni e una camera operatoria che scende e risale sul palco. Non è (solo) il bel canto che ci farà ricordare della Turandot al Teatro di San Carlo per la regia di Vasily Barkhatov ma un’opera sospesa tra pop e fantasy, per l’azzardo della scenografia che mescola linguaggi e visioni e anche per un happy end che il quarantenne russo Barkhatov fa presagire sin dall’inizio, come nelle migliori soap opera di oggi.

L’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, di cui nel 2024 ricorrono i cento anni dalla morte, vede l’algida e crudele principessa Turandot, che manda al boia tutti i pretendenti incapaci di risolvere tre indovinelli da lei proposti, cadere alla fine tra le braccia di Calaf. Nel mezzo, come per ogni opera che si rispetti, riti collettivi, folle che invocano, deboli che soccombono. La trama, considerata incompiuta soprattutto per la trasformazione di Turandot da principessa di gelo a donna innamorata, si presta più di altre a una modernizzazione anche scenografica, tanto che la soluzione proposta da  Barkhatov se all’inizio sorprende, alla fine risulta omogenea con lo spettacolo nel suo complesso. Se anche un po’ amatoriale il prologo filmato, girato nella chiesa napoletana di San Lorenzo, cattura l’attenzione dei profani della lirica, e riesce a introdurre l’intramontabile conflitto tra eros e thanatos che regola le pulsioni umane e, quindi, anche il plot narrativo dell’opera. Vasily Barkhatov è uno sperimentatore e il suo team - Zinovy Margolin per le scene, Galya Solodovnikova per i costumi e Alexander Sivaev per le luci – asseconda bene la sua idea del luogo dell’azione: una  Pechino “al tempo delle favole” che è contemporaneamente una città del futuro, al tempo della tragedia. È qui che Calaf e Turandot litigano in auto, tornando dal funerale del padre di lui, Timur, e hanno un incidente. Lo scarto continuo tra vita e morte proietta il pubblico in un universo fantasy, di cui la carcassa d’automobile e la sala operatoria – dove gli innamorati in conflitto subiscono (a turno) un intervento, e i loro corrispettivi “antichi” duellano sul palco – sono le porte di passaggio a un altro tipo di spettacolo, più cinematografico e visivo che cantato. La regia moderna insomma non danneggia la musica, grazie anche all’impeccabile direzione di Dan Ettinger, che asseconda la sperimentazione pucciniana dell’opera, con le incursioni del gong nelle percussioni occidentali e le frammentazioni ritmiche di un’orchestrazione del tutto originale e innovativa. Bravi gli interpreti tutti, anche quelli delle seconde recite  Oksana Dyka (Turandot), Amina Edris (Liù) e SeokJong Baek (Calaf) applauditissimo nell’interpretazione di “Nessun dorma”, che si sono alternati a Sondra Radvanovsky nel ruolo della principessa Turandot, a Yusif Eyvazov nei panni del principe Calaf e Rosa Feola in quelli di Liù. Un plauso va anche al Coro di voci bianche guidato da Stefania Rinaldi. 

Opera in tre atti e cinque quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, Turandot mancava dalle scene sancarliane dal 2015 ed è andata in scena nella versione con il finale di Franco Alfano. Lo spettacolo è stato dedicato a Maria Callas nel centenario dalla nascita (1923 – 2023), che cantò per la prima volta al Teatro San Carlo nel 1949 proprio il ruolo di Turandot per tre rappresentazioni. Trasmessa da Rai Cultura al debutto, nei primi mesi del 2024 Turandot sarà diffusa anche nei cinema internazionali di Australia, Spagna e paesi di lingua spagnola oltre che sulla piattaforma SigmArt.

Ida Palisi
Author: Ida Palisi
Giornalista professionista, esperta di comunicazione sociale, dirige l’Ufficio Comunicazione Gesco. Collabora con il Corriere del Mezzogiorno per le pagine della Cultura.

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