Giovedì, 21 Novembre 2024

Napoli e il Natale che non c’è

Napoli si è accesa.

“Napule è mille culure” cantava Pino Daniele e anche oggi in concomitanza con le prossime festività natalizie la città ha dato mostra dei suoi addobbi, delle luci e delle nuove installazioni che attraversano le piazze e le strade, al centro e in periferia, da Scampia ai vicoli del ventre napoletano.

Ciò che colpisce di questo Natale sono i nuovi simboli che sembrano raccontare qualcosa di diverso dalla consueta natività.

C’è l’orsacchiotto di Piazza Nazionale che ammicca alla luna, c’è la principessa delle fiabe che esce dalla carrozza, c’è un Babbo Natale gigante, sembra insomma di essere finiti in un grande schermo dove si proietta ininterrottamente un film di Walt Disney.

Proviamo ad addentrarci nella metafora che sembra trasportarci in un mondo irreale, ovattato e infantile, abbracciati a un pupazzo consolatorio o rapiti ad ascoltare la storia della principessa che parte per il suo mondo fiabesco.

Sembra quasi che a Napoli il Natale sia diventato il mondo dei balocchi dei più piccoli, non c’è accenno nei nuovi simboli al fulcro profondo della natività, che racconta non la favola infantile ma il cammino iniziatico reale e sacro di ogni uomo all’interno di se stesso.

La parola è importante crea mondi, e ancora di più crea mondi il simbolo soprattutto se desacralizzato e privato della sua dimensione essenziale.

Abbiamo spogliato il Natale del significato di “nascita”, non nasce più il bambino interiore sacro ma il pupazzo, ci siamo limitati a rappresentare in un contesto rassicurante la stereotipia iconografica del mondo infantile, quella del “senza vita”, edulcorando il tutto con pupazzi di neve, alberi e carrozze che sembrano invitarci a raggiungere luoghi inesplorati, non certo abitati dal soffio dello spirito vitale.

Partiamo… E dove andiamo?

Le installazioni viste da una certa prospettiva raccontano tutte di un mondo senz’anima, spogliato di essenza e di vita, un mondo pupazzo, gradevole e finto, magari in saldi, pronto per essere acquistato al megastore dei giocattoli, avvolto da cellophane, che riesce a raccontare senza alcuna crepa il mondo della società dei consumi.

È a questo che si è ridotto il Natale?

Nella città dei presepi, dove da sempre si raccontava la vita vera dell’acquaiolo, del mercante, del contadino, del pizzicagnolo, colti nelle loro faccende quotidiane, e sorpresi dalla “rivelazione” della stella cometa, dalla nascita mistica, di Colui che scendeva nel profondo del quotidiano per sacralizzare e rendere mistico ogni gesto, anche il più prosaico, e che giungeva a rendere memorabile il cammino del viandante o dell’uomo qualunque, colti dalla sorpresa del sacro, siamo passati a celebrare la finzione del senza vita, dell’atto meccanico, del pupazzo.

Dov’è il simbolo rivelato?

L’essenza?

La metafora della vita che viene animata dalla presenza piena dell’Esserci?

Resta un orsacchiotto consolatorio da stringere nelle notti buie.

Resta la principessa delle favole a edulcorare lo spettro di un’esistenza ravvolta a uno schermo.

Resta il grande assente cioè l’anelito alla pienezza della vita, non della favola, che oggi non ha più alcun simbolo a cui appellarsi.

Non esiste più nessuna metafora capace di raccontare la meraviglia che accade in ogni uomo quando accende la luce e fa nascere nel silenzio del proprio cuore quel Bambino capace di vedere con occhi trasparenti la bellezza dell’essere uomini.

Author: Redazione

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