Quei mille atti di violenza quotidiana
A Roma oggi due donne sono state trovate morte.
Quotidianamente ogni donna viene ferita a morte.
Ma non si tratta di femminicidio. È qualcosa di più subdolo, sotterraneo che non fa tanto clamore. Sono donne ferite nell’anima.
Nel mese dedicato alle donne vorrei raccontare altre storie. Storie di violenze sottili, serpeggianti, che non siamo soliti chiamare col loro vero nome e che lasciano segni profondi.
Manipolazioni psicologiche, fatte di parole svilenti e velenose che feriscono più di pugnali, atti di ordinaria “diminutio” quotidiana, di discredito e giudizio, persino di silenzio.
Toppe volte una donna invece di lividi sul volto, mostra lividi sul cuore, mosaici che minano nel profondo l’autostima e che generano dipendenze, storie di potere e di sopraffazione da nascondere vergognose in un cassetto.
Sono molti i modi in cui un uomo, apparentemente non violento, stringe in una morsa una donna, facendola sentire responsabile di mille mancanze, colpevolizzandola se non è adeguata nel ruolo di moglie o di madre o di donna che lavora, vagliandola e soppesandola con lo sguardo di chi “valuta” l’aspetto fisico, paragonandola ad altre, o sminuendone l’intelligenza e le capacità.
Uomini che in un ambiente di lavoro chiamano una donna con paternalismo “piccola” o “tesoro”, svilendone la professionalità, relegandola al ruolo di sottomessa o sottoposta, e spostando la relazione su un inesistente piano amicale o peggio seduttivo.
Storie di donne che non si ribellano neanche, preferiscono tacere per quieto vivere, perché è più facile accondiscendere e rinunciare alla propria identità, al proprio valore e partecipare al gioco della seduzione, o rimediare l’edulcorato vezzeggiativo protettivo.
Violenza che assume tanti volti, come quelli delle storie quotidiane di “non sorellanza” di donne che giudicano altre donne, chiacchierando di un comportamento più libero e disinibito con epiteti degni del peggiore frasario maschilista “è una stronza”, “ci prova con tutti”, “non è una buona madre”, “guarda come si è vestita”, o peggio col body shaming, tipo “come è ingrassata” con quello sguardo valutativo di Genoveffa e Anastasia in competizione per il principe…
Donne che non sanno chi sono, che non conoscono il loro valore e che per abitudine finiscono ingabbiate nello stereotipo che le vuole felici se piacciono, e quindi in eterna competizione con le altre da ridicolizzare o da svilire, contente se rimediano quel complimento che dà significato a una giornata, donne abituate a specchiarsi in uno sguardo per sentirsi adeguate o belle o capaci, chenon riescono a riempirsi in altri modi e quindi fragili, e quindi vittime, e quindi consenzienti col carnefice.
Quello che oggi le porta sugli altari e domani nella polvere.
Donne vittime d’amore.
E la violenza ancora si traveste… Quanti uomini in questa nuova dimensione virtuale delle chat, utilizzano la tattica della sparizione, del “gosthing” per esercitare su una donna il loro influsso narcisista e la loro violenza al sentimento.
A volte con la trama di un silenzio ingiustificato e gratuito gli uomini in fuga puniscono le loro compagne di una sera o di una vita con lo sparire senza alcuna giustificazione e tagliando in due la relazione.
Un silenzio che non solo è un attentato all’amore ma alla reciproca umanità e che essendo fatto di assenza è facile riempire di dolore e di ogni proiezione e mancanza atavica… Più violento di uno schiaffo porta la donna a sentirsi colpevole di chissà cosa, a chiedersi cosa ha mai fatto, dove ha sbagliato, dove è stata inadeguata e quindi pronta a fare, a dare ancora, ad annullarsi, a mendicare un’attenzione, un gesto, quella parola che la strappi dall’angolo invisibile.
Donne e uomini finiamo tutti vittime e carnefici di violenze di ogni genere per una cronica, patologica fame di amore inappagato.
È ora di darselo da soli quell’amore, di non cercarlo in giro, di non scambiarlo col calesse parcheggiato sulla strada.
Iniziamo col dare un nome ai mille volti della violenza, possiamo dire no e non scambiare i ricatti, le diminutio, i giudizi a buon mercato, i vezzeggiativi parodistici, il silenzio punitivo per amore.
Serve consapevolezza per sfuggire alle maglie di una società che si nutre di vittime e carnefici.
Serve essere eretici e rivoluzionari per riconoscersi valore, identità e integrità.
Il primo atto parte da se stessi.
So chi sono, ho la mia dignità e non partecipo.
(Ph di Helmut Newton)