Zitti e buoni ma fuori di testa
Concerto dei Maneskin a Napoli ed è sold out.
Ritorna il fascino del divismo che cattura in modo trasversale tutti, giovani, giovanissimi e più anziani, e che vede in azione il fenomeno della proiezione psichica sul cantante di turno, pronto ad incarnare immagini e luoghi comuni, sogni e fantasmi, illusioni e speranze.
Il vecchio deus ex machina della cultura greca, colui che nella tragedia giungeva a dare soluzione e a risolvere trame altrimenti irrisolvibili, si materializza nel mondo iconografico e pop, in un processo di divinizzazione del singolo prescelto, che diventa totem e al pari di un’immagine religiosa giunge a portare senso alla vita dell’uomo comune, altrimenti seriale e priva di significato.
Nel XX secolo abbiamo assistito al fenomeno della pop star, la stella del mondo popular che animava i sogni degli adolescenti e che svettava sui poster affissi nelle camere da letto, al posto del Crocifisso e della Madonna dei mondi rurali.
All’immagine pop si consegnavano sogni e passione, fino ad assurgere a modello da imitare o a divinità da amare e idolatrare fino a che la maturità non compiva la sua opera e rendeva uomini.
Il divo pop accompagna le esperienze iniziatiche come nei mondi primitivi e ancestrali faceva il totem.
Le esperienze iniziatiche della gioventù poi sono più o meno sempre le stesse, che si tratti di attraversare la foresta amazzonica e riuscire a cavarsela da soli per una settimana lontano dalla Comunità, procacciandosi il cibo e proteggendosi dai pericoli, o che si tratti di superare nella moderna società occidentale la fine di un amore o il soggiacere alle regole della gruppalità senza smarrire la propria identità, o ancora non finire travolti dal nichilismo e dall’assenza di senso di un mondo che resta in superficie, il fulcro resta uguale: la necessità per un’anima agli albori del vivere di costruirsi un deus ex machina, qualcuno o qualcosa che funga da modello e che aiuti nell’approdo all’identità adulta.
Ma com’è cambiato il divismo dal Novecento ai nostri giorni?
Siamo passati dal divo pop, astro dei cieli sul poster, che svettava al posto del Crocifisso, all’influencer in rete, cioè al divo che attraverso un tweet, un post sui social o un’immagine di rottura, influenza le scelte, le direzioni, i pensieri, le cose da dire, da fare e da pensare, e che trasferisce contenuti nella mente giovane, al posto dei libri.
È un po’ il confine che segna il passaggio da un mondo a un altro, dal mondo valoriale e sociale pre tecnologico, alla società dei consumi e della liquidità virtuale, dove anche il pensare è dominio di marketing.
I Maneskin sono approdati a Napoli e portano il diktat del luogo comune.
Oggi il divismo-influencer rappresenta la scuola su cui plasmare le coscienze giovani, dalla Ferragni, a Damiano, a Fedez. Più di un’università valoriale.
Per il resto tutti “Zitti e buoni”, tanto “Siamo fuori di testa”…
Ci si consola così.
Peccato che l’eresia non si compri al supermercato.
Peccato che serva ancora un libro per non essere “Another brick in the wall”.
Come cantavano i Pink Floyd… quasi mezzo secolo fa.