Ragazzi violenti e un bel nove in condotta
A Pomigliano due sedicenni aggrediscono, picchiano e ammazzano Frederick, un uomo ghanese che viveva su di una panchina appena fuori al supermercato.
Aiutava le persone a caricare la spesa in macchina in cambio di pochi spiccioli.
A marzo scorso un diciannovenne di Pianura viene colpito al petto da colpi di pistola sparati da un coetaneo a Mergellina, così all’improvviso nel bel mezzo di una serata tra amici.
Questi sono solo due episodi di violenza giovanile che noi tutti ricordiamo.
Due fatti di cronaca a cui noi adulti abbiamo dedicato un post, per i quali noi “attempati psicologi da Instagram” ci siamo indignati.
“Gioventù bruciata”, “Ai miei tempi era diverso”, “A sedici anni io tornavo a casa alle dieci di sera mica a mezzanotte come questi”, “Mio padre mi avrebbe fatto saltare i denti”.
E ancora: colpa dei cellulari, dei social, del benessere economico.
Tutti a sentenziare, a giudicare, a sentirsi migliori.
A puntare il dito contro i ragazzi, lo stesso dito che gli stolti guardano ogni volta che il saggio indica la luna, come dice il proverbio.
E questa volta la luna non è solo il giovane violento, ma noi.
I grandi, gli adulti, la comunità educante, chi ha la responsabilità morale di questi ragazzi.
Vi ricordate dei due studenti di quella scuola superiore di Rovigo che spararono pallini contro l’insegnante di scienze utilizzando una pistola ad aria compressa?
Quegli stessi studenti che poi presero in giro sui social l’insegnante vittima di questo “scherzo” che poi tanto scherzo non era?
Bene, quei due ragazzi sono stati promossi pure con un bel nove in condotta.
Sì, promossi e pure con un bel voto.
Praticamente, per un gruppo di adulti – gli insegnanti – fare esplodere pallini su di un insegnante mica è poi tanto grave.
E dai, chi non ha mai giocato con una pistola ad aria compressa?.
Hanno chiesto pure scusa i ragazzi, che fai non glielo alzi il voto?
Ma sì, piccoli birbantelli tanto non lo faranno più.
In fondo non è scappato il morto, due pallini sulla prof.
E dai, un bel rapporto sul registro e un paio di giorni di sospensione e abbiamo risolto.
Questi insegnanti che di mestiere insegnano (o dovrebbero farlo) quale messaggio stanno trasmettendo ai propri studenti?
Cosa stanno dicendo ai giovani?
Io non lo so e mi piacerebbe scoprirlo.
Perché così a occhio e croce non mi viene difficile pensare ai giovani che poi pestano un clochard, pubblicano porcherie o si accoltellano fuori un locale.
Certo, non è colpa solo degli insegnanti.
Anzi.
La colpa è condivisa ed è soprattutto dei genitori, degli adulti.
E se mio figlio prende in giro un amico, e no, non lo sgridiamo poi viene su con i traumi.
Se prende quattro alla versione di Latino, è colpa dell’insegnante: adesso ci vado a parlare.
Non sia mai il creaturoha picchiato un coetaneo ed ecco che subito “professore, ma lei dove era? Mio figlio a casa queste cose non le fa. Siete sicuro che non è stato provocato?”.
La deriva della violenza giovanile arriva da qui.
Da queste “piccole” cose.
Da questi adulti che forse tanto adulti non sono.
Perché è più facile giustificare e minimizzare che punire.
Prendere un provvedimento, prendersi la responsabilità di vedere il proprio figlio stare male.
Ogni volta che un ragazzo spara a un insegnante, uccide qualcuno, dovremmo farci qualche domanda in più.
Guardarci allo specchio.
È necessario ragionare sul fallimento, sulla certezza della pena e su quello che la comunità educante deve fare per evitare episodi violenti come questi.
Quando due sedicenni ammazzano di botte un uomo è colpa dei ragazzi, degli insegnanti, della famiglia, della comunità, del sistema giuridico.
E ognuno di noi deve prendersi la sua parte di responsabilità.
Non sono un insegnante e nemmeno un educatore e forse non sono nemmeno legittimato a scrivere pipponi sulla violenza giovanile.
Ma sono un genitore, un papà di due bambini e sono terrorizzato da questa deriva arida e rabbiosa.