Giovedì, 18 Aprile 2024

Il presepe e la storia di una società frammentata

Anime pezzentelle, Totò, Eduardo, la Napoli nobile e quella del sottosuolo animano il presepe della Sanità, realizzato dai fratelli Scuotto e reinventato alla luce di una tradizione che non è mai immobile ma si rinnova sempre, senza dimenticare però le sue origini.

Il presepe “Favoloso” donato alla Basilica di Santa Maria della Sanità  è l’ultimo simbolo di una storia che viene da lontano e che occorre ricordare, se si vuole cogliere appieno l’identità di un popolo come il nostro, che è sempre diverso ma sempre uguale a se stesso.

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La frammentazione della società italiana

Il presepe è, infatti, un microcosmo della nostra società, da sempre caratterizzata da una estrema frammentazione, in cui fattori familiari, locali e regionali si sostituiscono a forme organizzative più ampie e complesse e finiscono con l’ostacolarne la funzione. È una realtà che nasce dal passato, e qualunque tentativo di descrivere il nostro presente non ne può prescindere. Questa particolarità ha un’importanza centrale, ed è stata più volte rilevata dalla migliore storiografia, specialmente straniera, che la considera imprescindibile per chi voglia delineare la fisionomia storica e l’attualità nazionale italiana e ha un’origine tardo antica.

Dopo il crollo dell’impero romano occidentale, si crearono una miriade di monadi locali e si instaurò una fase di polverizzazione sociale tra ceti, gruppi, corporazioni. Il fenomeno è all’origine del particolarismo moderno e, a sud delle Alpi, ha cominciato a trovare correttivi e un reale superamento solo tredici secoli più tardi.

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La compagine romana statale, che era ben coesa dal punto di vista istituzionale e giuridico nonostante le sue enormi dimensioni, fu sostituita in Italia dal massimo della frantumazione in seguito al pesante dominio longobardo; infatti il modo di essere di questa etnia era già di per sé costituzionalmente disomogeneo, aveva una composizione intimamente feudale. Un confronto cronologico può essere illuminante per chi vuole rendersi conto di quali furono le diverse conseguenze della crisi post-imperiale in Europa. Nel momento in cui si verificava nella Penisola (anno 569) l’invasione – di per sé disgregata – delle etnie longobarde, già da oltre mezzo secolo aveva avuto inizio Oltralpe un processo inverso: con la vittoria di Clodoveo contro i Visigoti, con il loro arretramento verso la Spagna e con l’insediarsi a Parigi della dinastia merovingia, si era inaugurata la prima fase dell’agglomerazione delle genti germaniche franche intorno all’antico sostrato celtico-gallico, di cui le popolazioni locali conservavano ben vivo il ricordo. Quella sintesi, attraverso la successione dei Carolingi e poi dei Capetingi, creò il nucleo centrale della nuova Europa. Dunque una sfasatura di pochi anni segna l’inizio dei due processi, risolti in direzioni opposte, che caratterizzarono la vita civile a nord-ovest ed a sud delle Alpi. La differenza qualitativa tra quei due andamenti delle istituzioni, delle strutture sociali e delle mentalità ebbe da allora in poi un incremento stabile e fatale fino al 1861. Alla disgregazione longobarda in una molteplicità di ducati, spesso tra loro in lotta continua, si aggiunse la guerra, che era già in corso tra bizantini e goti (spedizioni di Belisario e di Narsete), e che proseguì con i nuovi invasori, durando poco meno di tre secoli. Si diversificarono perciò nettamente gli insediamenti costieri, dediti alla navigazione, alla pesca ed ai commerci marittimi, e gli stanziamenti interni, che ebbero caratteri feudali e militari, fortemente consuetudinari. I potentati locali si moltiplicarono, si complicò la struttura politica di uno Stivale che rimase poi intimamente disunito. È da notare che nelle minuscole monadi il rapporto pubblico non tendeva ad assumere una fisionomia giuridica, istituzionale, formale ma rispondeva a consuetudini familiari e locali molto diversificate, e conservava una netta distinzione tra dominanti e dominati.

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Questa lunga durata di organizzazioni polverizzate ha inciso a fondo e lungamente sulla coesione politica, sulla tenuta e credibilità istituzionale del nostro Paese, nonostante il miracoloso recupero realizzato dalla produttività italiana in varie fasi, l’ultima dopo la metà del secolo ventesimo. In Italia più che altrove le vocazioni particolaristiche sopravvivono, inducono alla sfiducia verso la sfera pubblica, mentre la frammentazione degli ideali e delle energie sociali continua ad influire negativamente sulle notevoli potenzialità economiche.

Tuttavia, di fronte al quadro di scissione e di disarticolazione che proveniva dall’alto Medio Evo, la comunità napoletana ha rappresentato, dal punto di vista sociologico, durante l’intera età moderna, il più ampio centro di coagulo delle energie regionali italiane, che vi sono affluite dai confini degli Abruzzi ultra al Salento e alla Calabria. 

Napoli

Napoli, fino all’unificazione nazionale, è stata la città più popolosa non soltanto d’Italia, ma (dopo la crisi di Siviglia) dell’intera Europa meridionale, e quindi una delle maggiori metropoli dell’intero vecchio continente; fu ed è un’agglomerazione che si è tradotta, grazie ai suoi aspetti  positivi e nonostante i suoi numerosi e gravi versanti negativi, in una sintesi che si presenta omogenea, nella sua complessità, a vari livelli (di cultura alta, media e bassa) ed è dotata, nel bene come nel male, di una sua individualità, di una sua singolare specificità distintiva.

Di queste vicende l’andamento tortuoso, avventuroso, intrigante, ricco di svolte e di colpi di scena, è la premessa necessaria per comprendere appieno la complessità di una città, in cui convivono segni grecoromani, longobardi, rinascimentali, barocchi e settecenteschi, testimonianze di una storia che è durata più di due millenni. In questo modo si spera di alimentare una coscienza sia delle potenzialità sia dei limiti che ancora inconsciamente condizionano le strutture mentali della nostra società. 

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Il presepe

Il presepe donato dai fratelli Scuotto alla Basilica di Santa Maria della Sanità risponde appieno alle considerazioni qui sommariamente indicate sui caratteri della civiltà partenopea e della storia italiana non soltanto meridionale. Il quadro che la tradizione presenta con le sue immagini natalizie e popolari di culto corrisponde ad alcuni aspetti tipici della cultura sociale di chi crea i pastori, i paesaggi e le scene e di chi, con istintiva partecipazione, ne fruisce il disegno fatto di una fantasia apparentemente illogica. Sono segni fuori del tempo, ma simboli profondi della nostra storia. La presenza del divino pervade l’intera esperienza umana popolare, ma non nei termini di una volontà unica o di una verità autentica che voglia imporsi, bensì di una partecipazione caritativa della collettività, di una sua bontà intima, di una presenza esistenziale misericordiosa, tenera, forte ma apparentemente debole e dimessa, che richiede protezione e calore, sentimenti simboleggiati da un bambino indifeso e dalla cura senza limiti che i genitori e l’intera comunità gli dedicano. Con tutte le innovazioni di personaggi e ambientazione, il centro della scena è sempre occupato dalla apoteosi della maternità, della paternità, della famiglia. Verso quel punto focale converge la presenza di un’umanità multiforme, umile e spontaneamente collaborativa, che tuttavia si colloca al di fuori di ogni forma di istituzioni, laiche o ecclesiastiche, vive estranea a ogni simbolo del potere pubblico, ad ogni organizzazione statale e collettiva.  Niente va al di là della convivenza spontanea, niente la turba con la sua presenza. Soltanto i re magi rappresentano il segno di un potere, ma esso viene da lontano, si presenta solo per esprimere il suo ossequio, non per comandare. Sono scene di una vita che non presuppone disciplina, obbedienza e neanche regole formali, non pretende e non aspira a realizzare l’ordine né intende rappresentarlo. Sono perciò anche il segno di un carattere anarchico e caotico che è un grave limite del nostro popolo. Quelle figure rinviano anche ad immagini ideali, aperte verso una sbrigliata ed autoironica fantasia, ma corrispondenti a convinzioni sostanziali, fatte di teneri sentimenti, di piena simbiosi con i problemi esistenziali comuni, di amorevole comprensione verso le esigenze altrui, di carità, di partecipazione schietta, naturale, candida e autentica.    

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Author: Super User

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