Mercoledì, 24 Aprile 2024

Tristan und Isolde di Richard Wagner al Teatro San Carlo

Sarà Tristan und Isolde di Richard Wagner l’ultimo titolo che chiude la Stagione Lirica 2021/2022 del Teatro di San Carlo, in scena per la Prima giovedì 27 ottobre alle 19.

 Lo spettacolo con la regia di Lluìs Pasqual, qui ripresa da Caroline Lang è quello vincitore della XXIV edizione del premio Abbiati per le scene e i costumi di Ezio Frigerio e Franca Squarciapino, assegnato – si legge nella motivazione -  “Per il segno visivo e la straordinaria accuratezza della realizzazione di scene, citazioni pittoriche e costumi”.

Dirige l’Orchestra Constantin Trinks, conosciuto principalmente come direttore wagneriano.

Anche il cast vocale è formato da voci specializzate in questo tipo di repertorio: il ruolo di Tristan sarà infatti affidato a Stuart Skelton e quello di Re Marke di Cornovaglia a René Pape, Nina Stemme sarà Isolde, Brian Mulligan Kurnewal e Okka von der Damerau darà voce a Brangäne.

Completano la locandina Gabriele Ribis (Melot /Steuermann) e Klodjan Kaçani (Un pastore e voce del marinaio). Maestro del Coro José Luis Basso.  

Azione in tre atti su libretto dello stesso Wagner tratto dall’omonimo romanzo in versi di Goffredo di Strasburgo, Tristan und Isolde fu composta tra il 1857 e il 1859 e andò in scena per la prima volta il 10 giugno 1865 al Nationaltheater di Monaco di Baviera. Massima espressione delle innovazioni wagneriane, è il poema in cui destino e amore coincidono in maniera assoluta e la morte dei due protagonisti è il compimento supremo dell'amore. Dopo la prima del 27 ottobre, si va in scena il 30 ottobre, il 2 e il 5 novembre. 

Una storia leggendaria tra vita e arte 

Come i poeti romantici sono intenti a celebrare il sogno, il mistero e la tempesta delle passioni contro il dominio della ragione, così Wagner, ispirato dalla poesia sentimentale di Schiller e dalle visioni oniriche di Novalis, scopre nel racconto leggendario di Tristano e di Isotta il simbolo più eloquente del sentimento d’amore. Vero è che diversi sono i miti letterari e le antiche leggende a cui Wagner ha attinto per testimoniare nella sua opera musicale amori romantici, struggenti e anche impossibili. Ma di tutti i miti rivisitati dal compositore, quello di Tristano è il solo chiamato ad incarnare l’amore non come pathos, ma come forza cieca che domina e travolge l’esistenza umana. Per Wagner, la leggenda di Tristano è molto più di una tragica storia d’amore e morte. È l’immagine emblematica di quella filosofia pessimistica, che egli apprende dal Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, che coglie il senso doloroso della vita umana. Una filosofia che svela l’intima essenza della realtà che, al di là di ogni illusoria consolazione, si rivela ‘dramma’ del desiderio invincibile, della sofferenza irriducibile e della morte, mistico accesso all’infinito e sola salvezza di un’umanità eternamente infelice. Mai racconto leggendario aveva assunto un significato così rilevante e profondo. Per questo, nel tradurre la leggenda celtica (o bretone o germanica) in un’opera lirica, il nostro compositore si accosterà al poema epico in antico tedesco di Gottfried von Strassburg (Tristan, testo del XIII secolo), ricercandovi quel nucleo primitivo della storia e quei versi lirici votati ad esprimere la tragedia umana.

Opus metaphysicum ebbe a dire il filosofo Nietzsche del Tristano, riconoscendovi la grandezza e lo spirito dei tragici greci che scrutavano gli abissi più reconditi dell’animo umano. In definitiva, le scene più intense dell’opera vedono i due protagonisti, simboli eterni dell’amore fatale, violare il codice etico della società feudale e cristiana, macchiandosi di colpe gravissime senza possibilità di redenzione. L’adulterio (Isotta è moglie del re Marco di Cornovaglia), il tradimento degli ideali cavallereschi (Tristano ha giurato fedeltà a re Marco), la dissimulazione, l’odio per la vita e la ricerca della morte (Tristano si lascia morire per amore) conseguono dalla passione d’amore che travolge e sconvolge Tristano e Isotta sin dalla situazione iniziale dell’opera.

Ad aprire alla «suprema voluttà d’amore» e alle sue fatali conseguenze è un filtro magico, che i due protagonisti bevono durante il viaggio in nave che li conduce dall’Irlanda alla Cornovaglia, ove Isotta sposerà re Marco (atto I). Non c’è mito, né leggenda che non tragga forza dal soprannaturale, dal mostruoso, dal meraviglioso e dalla magia. Predizioni sorprendenti, anelli magici, incantesimi prodigiosi, trasformazioni inaudite sono solo alcuni dei molti modi in cui la magia interviene nel mito.

Per lo più fedele al poema epico di von Strassburg, il Tristano di Wagner conferma quell’idea della magia come sapienza medica, e come arte del farmaco, che costituisce la leggenda medievale. Isotta è depositaria dei segreti della cura che prolunga la vita. Ma ella conosce anche la misura che trasforma un farmaco in un veleno o in una sostanza che può incidere sull’anima, condizionando la volontà e anche le scelte umane (arte di maga, che solo intruglia bevande di balsami, atto I, scena I).

Sull’ambigua natura della magia si basa l’intreccio tra il veleno (filtro della morte) e il filtro d’amore che costituisce la trama del Tristano di Wagner, una novità rispetto a quanto tramandato dall’antica leggenda. I due protagonisti credono di darsi la morte con un veleno che Isotta porge a Tristano, bevendo poi dalla stessa coppa (I atto). Ma, vittime di un inganno, essi bevono un filtro d’amore che li trasforma profondamente, facendoli nascere a nuova vita grazie a una passione ardente e incontenibile. Il gioco che Wagner crea tra il filtro della morte e il filtro d’amore vale a far risaltare, sin dall’inizio del Tristano, quel connubio tra amore e morte che ne costituisce il tema dominante.

Ad esprimere la trasformazione emotiva e lo sgomento dei due protagonisti dinanzi al repentino mutarsi dell’odio in amore, è la musica di Wagner. Musica di incomparabile potenza espressiva che esalta il dramma interiore dei due personaggi, i loro stati d’animo e il nascente sentimento d’amore, che il testo rende con versi di rara bellezza:

«Frementi si elevano i cuori! Voluttuosi tremano i sensi! Carico di desiderio fiorisce l’amore, ed anela! Felice ardore! Esultante piacere! Isotta! Tristano! Sottratti al mondo, conquistati, perduti! Tu, per me, suprema gioia d’amore» (atto I, scena V). 

Luci e ombre di un’opera crepuscolare

Opera rivoluzionaria il Tristano e Isotta anche perché costituita da grandi constasti. La musica, tra progressioni armoniche e modulazioni cromatiche, comunica situazioni emotive estreme, che cambiano di continuo. L’Azione si compie secondo la dicotomia giorno-notte, privilegiata dalla letteratura romantica, a cui fa eco la contrapposizione tra la luce e il buio, di ancor più rilevante efficacia simbolica, che percorre le immagini poetiche del libretto. Il contrasto tra il giorno e la notte restituisce il senso di un’opposizione irriducibile tra le azioni dei due protagonisti, consacrati alla notte e alla passione d’amore, e quelle degli altri personaggi, votati al giorno e agli ideali più alti, che non sono se non sogni, illusioni, inganni, che tradiscono la vera natura dell’uomo, nato per desiderare e per amare (Isolde: «Siamo ormai consacrati alla notte! Il fraudolento, invidioso giorno potrà separarci con l’inganno, ma non più illuderci. Il suo vanesio splendore deride colui al quale la notte ha benedetto la vista. I fuggitivi lampi della luce non ci abbagliano più», atto II, scena II).

Dei tre atti dell’Azione, il secondo insiste sulla notte e sul tema della felicità d’amore. La «suprema voluttà» continuamente ricercata dai due amanti trova il suo più completo appagamento nell’incontro notturno del secondo atto, dove Tristano e Isotta attraversano l’«ebrezza dell’anima», il «sublime, audace, bellissimo e beato piacere»

 e il «celeste rapimento dal mondo» (atto II, scena II). Ma nell’esperienza di una felicità «senza pari, mai presagita, mai provata, eccelsa, sublime, traboccante, sovrumana, eterna» (atto, scena II), i due amanti si scoprono uniti da un legame d’amore così profondo che essi sono divenuti una sola anima e talmente potente da essere destinati all’eternità della morte. 

Fil rouge dell’opera, il nesso amore-morte, di cui la notte è simbolo, diviene nel Tristano e Isotta un connubio inesorabile. La morte è parte dello stesso sentimento d’amore, condiviso dai due protagonisti, e il finale tragico sopraggiunge come epilogo ineludibile della storia che li vede coinvolti. Come in un gioco di specchi, la passione cieca e travolgente   ̶   rivelatasi nel I atto, che raggiunge l’apoteosi nell’incontro d’amore del II atto   ̶   è ‘morte’ per la sua natura violenta e dissolutrice; e la morte, sempre ricercata e attesa dagli amanti infelici, giungerà   ̶   nel III atto, vero e proprio canto della morte   ̶   come ineluttabile e fatale compimento dell’amore. Negli ultimi momenti dell’opera, Tristano, ferito a morte, attende l’amata Isotta, la sola capace di salvarlo. Se bianche, le vele della nave avrebbero annunciato l’arrivo di Isotta in Bretagna. Se nere, ne avrebbero testimoniato l’assenza. Tristano, ingannato e convinto che Isotta non arriverà, si lascia morire per amore. Isotta arriva tardi e in un delirio estatico si accascia sul corpo di Tristano, unendosi a lui nella morte. Meraviglioso il Liebestod (morte-d’amore) che chiude l’opera, apoteosi del Romanticismo musicale, che esprime la mistica trasfigurazione di Isotta che si libera dalle catene di un mondo greve e si apre all’infinto e all’eternità dell’amore nella morte: «Odo io sola questo canto, che, sublime e calmo, piangendo felicità, tutto dicendo, mite e rasserenante risuonando da lui, penetra in me, si slancia, gentilmente echeggiando tutta m’avvolge? Questo più chiaro sussurro che intorno mi fluttua, sono onde di brezze soavi, sono gorghi di beati vapori? Se si gonfiano e intorno a me fremono, devo aspirare, devo ascoltare? Devo assorbire, affondare? Con dolcezza nei vapori effondermi? Nell’ondeggiante marea, nell’immenso fragore, nella palpitante pienezza del respiro del mondo, naufragare, annegare, inconsapevole, estrema estasi!»

Prime rappresentazioni del Tristan und Isolde 

L’opera va in scena per la prima volta al Teatro Nazionale di Monaco di Baviera nel giugno del 1865 con la direzione di Hans von Bülow. La rappresentazione è tristemente ricordata per la morte improvvisa del tenore, Ludwig Schnorr de Carolsfeld, di cui si attribuì la responsabilità a Wagner e al suo Tristano, che per alcuni anni fu ritenuto non eseguibile. A decretare il successo generale e incontrastato dell’opera sarà la rappresentazione del 1872, sempre a Monaco di Baviera, che vede la direzione del maestro Hans Richter. Da quel momento, Tristan und Isolde sarebbe andato in scena in tutte le grandi città tedesche, da Weimar a Colonia, da Amburgo a Dresda, da Berlino a Bayreuth. Memorabile resta la rappresentazione al Teatro di Bayreuth (1886), ricordata, oltre che per l’eccellente esecuzione dell’orchestra, diretta dal maestro Felix Motti, e degli interpreti, specialmente del soprano Rosa Sucher, nel ruolo di Isotta, per la regia di Cosima Listz Wagner, vedova del compositore, da cui molti avrebbero tratto ispirazione per rappresentare il Tristan.

Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, l’opera andava in scena a Parigi, all’Opéra (1895), che a quel tempo era centro del mondo operistico. Prima del 1895 Wagner era noto alla società intellettuale parigina principalmente per i suoi scritti teorici, poiché delle sue composizioni si aveva una conoscenza ancora limitata. La rappresentazione del Tristan a Parigi rianimava il dibattito sulle teorie proposte da Wagner sul ‘dramma’, e sulla concezione dell’Opera d’arte dell’avvenire, ricercata da Mallarmé e dagli altri letterati e drammaturghi simbolisti riuniti intorno alla Revue Wagnérien.

In Italia, l’opera viene rappresentata per la prima volta al Teatro Comunale di Bologna, il 2 giugno del 1888, nella traduzione italiana di Arrigo Boito e di Angelo Zanardini, con Ottavio Nouvelli nel ruolo di Tristano e Aurelia Cattaneo in quello di Isotta. Maestro concertatore è Giuseppe Martucci. In sala è presente Arturo Toscanini che, anni dopo, avrebbe diretto il Tristano alla Scala di Milano (1900) con il tenore Giuseppe Borgatti nel ruolo del protagonista e il soprano Amelia Pinto in quello di Isotta. Sia l’uno sia l’altra saranno nuovamente, rispettivamente, Tristano e Isotta nel dicembre del 1907, in occasione della prima rappresentazione del Tristano al Teatro San Carlo di Napoli, con Giuseppe Martucci a dirigere l’orchestra, la sua seconda direzione dell’opera dopo quella di Bologna. Le prime recite al Massimo Napoletano si devono alla lungimiranza dell’impresario Augusto Laganà, che ha voluto una rappresentazione importante anche dal punto di vista scenico-registico, riproponendo soluzioni scenografiche sperimentate anni prima al Teatro di Bayreuth.

Teatro di San Carlo
giovedì 27 ottobre 2022, ore 19:00

domenica 30 ottobre 2022, ore 17:00

mercoledì 2 novembre 2022, ore 18:00

sabato 5 novembre 2022, ore 19:00

Author: Redazione

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