Domenica, 24 Novembre 2024

Il giocattolo

Tutti a dire “Si è rotto il giocattolo”. Siamo quinti in classifica (ma ieri mattina eravamo settimi), a quattro punti dalla prima (e quattro punti sono pochi, pochissimi); l’atmosfera è tesa, c’è aria di crisi, nello spogliatoio c’è un clima un po’ così, vinciamo in Europa tutti intossicati.

Si è rotto davvero? Vediamo.

Innanzitutto spero che nessuno si sia illuso che il Napoli di quest’anno sarebbe stato identico a quello dell’anno scorso: un’annata che sembrava baciata dalla grazia, uno spogliatoio sereno, una squadra agguerrita, compatta, felice. Ecco, sembravano felici, sembrava che fossero invincibili perché quando entravano in campo erano felici di farlo. Ora non lo sono più, forse? Non lo so, ma il peso di non deludere una tifoseria che sarebbe un eufemismo definire esigente, l’asticella altissima definita l’anno scorso, quel tricolore cucito sulla maglia son cose che pesano. E quindi io credo che il giocattolo non si sia rotto, il giocattolo deve trovare un nuovo modo di funzionare. Non può essere la stessa cosa quest’anno, tra l’addio di Kim – l’imprescindibile pilastro della difesa che non sarà facile sostituire – e quello di Spalletti, anima di quel Napoli: era impossibile riprodurre quell’equilibrio magico. E quindi no, non poteva rompersi il giocattolo, perché non era lo stesso giocattolo.

Con un allenatore nuovo, una guida diversa, giocatori cambiati ed elementi nuovi era necessario ritrovare un equilibrio fra una squadra che ha sbriciolato domenica dopo domenica ogni record e un nuovo corso. La partita di ieri sera, con quell’Udinese con cui il 4 maggio ci siamo laureati Campioni d’Italia con un mese di anticipo, era delicatissima. C’era la questione Osimehn: la reazione scomposta dopo Bologna, quel video vergognoso in cui un ignoto – e neanche voglio sapere chi è – paragona Victor a una noce di cocco, e lui che toglie le foto con la maglia del Napoli: il livello di maturità raggiunto è circa due anni (in totale). Il video è osceno, offensivo, razzista, e anche bruttarello, ma d’altra parte: Victor – mi permetto di chiamarti Victor – la maglia, perdonami, è un’altra cosa, che non c’entra niente con l’idiozia di un media manager o persino di una dirigenza. La maglia è sacra, non si tocca, e viene prima di tutto. Da quel lato dobbiamo solo attendere gli sviluppi: mi preoccupano le reazione dell’agente, e la mancata esultanza dopo il gol contro l’Udinese, e anche quella sostituzione al 60esimo non mi è piaciuta (le sostituzioni di Garcia non mi piacciono in generale), ma tutto sommato sono animata da quell’ottusa e cieca e assolutamente immotivata fiducia nel domani data da quattro palloni all’Udinese. E giustappunto parliamo di quei quattro palloni, perché quello contro l’Udinese è stato un Napoli molto molto vicino a quello dell’anno scorso.

Il Napoli ha giocato veramente bene, fra alcune eccellenze come Di Lorenzo e Zielinski (che ha rifiutato i milioni arabi per restare qui, e per me che sono un’anima romantica questo vale più di ogni cosa) a Lobotka a Simeone, che entra e segna con una diligenza quasi religiosa, fino alla vera star: Kvaratskhelia.

192 minuti senza segnare devono mettere una fame da addosso da star male, e lui il gol lo cerca in tutti i modi, fa impazzire la difesa avversaria, prende due pali, e fa un gol spettacolare che incanta il Maradona. E forse è lui, il ragazzo che legge in aereo, mite, gentile, l’ingranaggio più delicato e prezioso di questo meraviglioso giocattolo.

Serena Venditto
Author: Serena Venditto
È nata a Napoli il primo agosto 1980, per festeggiare il compleanno della squadra. Archeologa e scrittrice, è autrice di una serie giallo-umoristica con protagonisti il gatto detective Mycroft e un gruppo di amici impiccioni, di cui l’ultimo è l’ebook gratuito “Malù si annoia. Quarantena in giallo per quattro coinquilini e un gatto”. Cura per Napoliclick la rubrica #Barsport

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