L’assedio
La situazione, il 24 novembre alle ore 17:59, è questa qua: al Maradona risuonano le note di Again, il singolo inedito di Pino Daniele lanciato in anteprima, ma noi a casa non possiamo sentirlo perché per Dazn è più opportuno mandare la pubblicità. Evidentemente un singolo inedito del cantautore simbolo di Napoli a dieci anni dalla morte nulla può contro lo spot.
Cominciamo bene, benissimo direi. Noi già stiamo combinati così.
Insomma, parliamoci chiaro, questo pomeriggio è la rappresentazione calcistica dell’ansia: tre squadre in vetta che non stanno sbagliando quasi niente: Atalanta, Fiorentina e Inter, e dietro il Napoli a due punti, ma che se vince torna capolista con un punto che pesa come un macigno. Non può sbagliare nulla. Se non vincono Conte li rincorre con un randello nodoso fino a Castelvolturno. Ed è con questo spirito leggero, questo animo lieto e rilassato che il Napoli scende in campo.
Una squadra che sta sbagliando quasi tutto, che ha fatto 13 punti in 12 partite, che ha cambiato tre allenatori in due mesi e si quindi è appellata a Ranieri, il suo eterno salvatore, l’allenatore che non può dire di no, che non le ha mai detto di no. Non può sbagliare nulla, neanche lei. Ed è con questo spirito leggero, questo animo lieto e rilassato che la Roma scende in campo.
Con una storia fin qui diametralmente opposta, ma lo stesso obiettivo scendono in campo al Maradona Napoli e Roma. Ma è chiaro fin da subito che anche l’approccio è completamente opposto. Il Napoli gioca, fa la sua partita, la Roma per tutto il primo tempo parcheggia il pullman davanti alla porta di Svilar, e bello comodo: all’inizio del secondo tempo, dimostrando una certa apprensione natalizia, piazza una specie di abete chiatto con una base di cinque difensori. Insomma, non proprio un’aggressione, Meret è praticamente inoperoso per tutto il tempo (potrebbe persino farlo per davvero l’albero di Natale, là dietro), e l’ingresso di Dybala a tre minuti dalla fine è una specie di mossa della disperazione che non ha molto senso (per fortuna).
È un Napoli che ha una sua solidità, punti di riferimento vecchi e nuovi a cui si sta via via sempre più abituando: Di Lorenzo e Anguissa, che fanno entrambi una bellissima prestazione, e McTominay su tutti, ormai per Conte irrinunciabile, insostituibile, più di Kvara, non brillante come al solito, che viene sostituito con Neres, ormai considerato suo cambio naturale. Anche se no, non è assolutamente la stessa cosa, e se in un campionato con le varie coppe e coppette e impegni infrasettimanali questo cambio sarebbe comprensibile per ricaricare il georgiano, per il calendario del Napoli non ha lo stesso significato.
E poi, finalmente, il gol dell’ex arriva, quello di Lukaku, un gol furbastro seduto per terra, niente di spettacolare, la palla entra piano, ma va bene così: tre punti sudatissimi per tornare in testa, con tre dietro di noi a un punto, che dopo Lazio-Bologna possono diventare addirittura quattro, cosa che poi si verifica puntualmente.
Finisce con Dybala e Lukaku che si abbracciano sulle note di Napul’è (non potevate farci sentire di nuovo la canzone che ci eravamo persi?), ed è tutto molto bello, per carità. Ma poi, se ci pensi...
Quattro a un punto. Essere capolista è bellissimo, è una vertigine, una vertigine che sa di assedio. Sarà così tutto il campionato? Una lotta in testa su distanze cortissime, con l’ansia addosso, il fiato sul collo, tre, quattro, cinque squadre a un’incollatura? Nel caso, facciamoci l’abitudine: mica si può vincere il Coso sempre con venti punti di vantaggio! O no?
Foto: Carlo Hermann