Prima vinciamolo
Prima vinciamolo. Dove è finita quella benedetta scaramanzia del non è vero ma ci credo, in una città addobbata da settimane, con il dibattito che si incentra sulle modalità della festa come se non avessimo altro di cui parlare? Quando ci sarà eventualmente qualcosa da festeggiare festeggeremo, ma per favore nessuno parli di riscatto.
Una vittoria sportiva è un risultato importante, soprattutto se capita raramente come capita al Napoli, ma non confondiamo i piani. Anzi, io credo che la prima forma di riscatto sia proprio quella di non fare confusione fra il ritardo della città e il ritorno della squadra sul tetto d’Italia e, chissà, magari anche su quello d’Europa. Non poniamo limiti alla provvidenza.
Non mi piace la retorica perché imbelletta, omette o mistifica sempre qualcosa. Ovviamente, sono convinto che lo sport può essere uno straordinario percorso di emancipazione, se pratica diffusa soprattutto nei quartieri popolari coinvolgendo ragazzi a rischio. Ci sono innumerevoli esempi di campioni venuti dalla strada e salvatisi da un destino che sembrava segnato proprio grazie all’attività sportiva. Storco però il muso quando gli stessi che fanno ricorso alla retorica per celebrare le vittorie dello sport professionistico poi dimenticano le negligenze istituzionali, gli impianti sportivi mai costruiti in periferia, oppure quelli lasciati marcire di cui abbiamo numerosi esempi anche qui in città.
Se ci sarà qualcosa da festeggiare lo faremo. In sicurezza, naturalmente. Tuttavia leggo troppe cose che non mi piacciono. Le piazze a numero chiuso, l’ingresso a inviti, la dislocazione sul territorio per impedire che si venga tutti in centro, la festa allo stadio a pagamento. Ecco, io penso banalmente che al di là di ogni evento pianificato, la vera festa esploderebbe nelle strade un minuto dopo il fischio finale della partita che consegnerebbe il titolo al Napoli. Una festa trasversale perché la squadra di calcio è sempre stata una delle poche cose davvero interclassiste della nostra città. Leggo invece troppi discorsi che ancora una volta puntano il dito contro gli ultimi, i poveri, quelli meno acculturati, quelli delle periferie. Come se anche il diritto di festeggiare fosse diventato un privilegio per censo.