Opera viva al Bellini: quando la Factory porta la vita sulla scena
La casa è il luogo dell’infanzia, dei ricordi, dei traumi. Difficile disfarsene, quando diventa l’oggetto-simbolo di una frattura interiore che da singola si fa collettiva, e riguarda un’intera famiglia.
Così quando i tre fratelli Palma, Alfio e Rosario si ritrovano presso lo studio di un notaio per la discussione dell’atto di compravendita della loro casa natale, quello che era il luogo dell’infanzia si ritrova a essere lo strumento di transizione tra due dimensioni: un presente difficile e un passato ingombrante. È un interno/inferno di conflitti irrisolti la piéce Opera viva che è in scena al Piccolo Bellini di via Conte di Ruvo a Napoli, fino a domenica 4 febbraio 2024. Scritta e diretta da Elvira Buonocore per la regia di Maria Chiara Montella e con interpreti quattro ex allievi della Factory del Bellini, che hanno curato anche l’ideazione e la sceneggiatura, la piéce è il segno di un grande lavoro di formazione dove il teatro ne esce come un mestiere appreso a pieni voti, con dedizione, studio e una buona dose di talento di base.
L’azione si svolge per un’ora all’interno di una stanza, che ora è lo studio notarile, ora è la casa dell’infanzia, costruita sul versante costiero di una regione imprecisata. Il rogito diventa all’improvviso un atto d’accusa, un processo: il notaio (Alessandra Cocorullo) non è più lei, ma qualcuno che fa parte di una storia che la casa stessa rievoca. Le sue domande incalzanti trasformano la crudezza neutra della burocrazia in un feroce tribunale dell’Inquisizione che si insinua nelle crepe della casa e della memoria e i tre fratelli - Riccardo Ciccarelli, Stefania Remino, Gianluca Vesce – si ritrovano insieme ad affrontare il ricordo dei giochi e delle risate e a rievocare il dolore. La storia, costruita su più piani temporali e senza cambio di scenografia, si basa sui dialoghi e sulla trasformazione fisica dei protagonisti, che si spogliano delle difese costruite negli anni svestendosi materialmente sulla scena. Il passaggio dall’età dell’innocenza a quello del paradiso perduto è graduale e dirompente, i traumi sono quelli nascosti in molte famiglie apparentemente “normali”, il senso globale sta nel rovesciamento delle responsabilità, che è anche quello di uno scambio di colpe tra vittime e carnefici. Gli attori riescono a condurre lo spettatore nei meandri delle vicende personali, a renderlo partecipe quasi si trattasse di una terapia gestalt e non di una messinscena a tempo determinato.
Bravi tutti: la Bellini Teatro Factory è palestra di teatro e di vita.