8 marzo, il fiorire di una consapevolezza

8 marzo. Giornata internazionale della donna, in ricordo delle conquiste politiche e sociali delle donne.
Una festa che porta alla luce l’ombra della condizione femminile, perché se ancora oggi ci industriamo a festeggiare vuol dire che quelle conquiste non sono ancora naturali, non fanno parte dell’assetto sociale, e quindi devono essere ancora ricordate e rivendicate.
Se si deve istituire una festa per celebrare i diritti del genere femminile tra cui il diritto di voto, brucia ricordare che c’è stato un tempo in cui alle donne questi diritti elementari erano negati, secoli e secoli in cui le donne erano considerate soprammobili da vetrina o serve della casa, e a loro era preclusa la possibilità di realizzarsi come persone, di seguire le proprie passioni, ma soprattutto era bandita dalla loro vita la libertà di scegliere.
8 marzo. Una giornata di memoria e di vergogna quindi.
Il primo evento storico importante che segna l’inizio della rivendicazione del genere femminile fu il VII Congresso della II Internazionale sociale che ebbe luogo a Stoccarda nel 1907 e dove finalmente si discusse del diritto di voto alle donne.
Fu una conquista del mondo socialista se si riuscì poi a introdurre il suffragio universale. Ma i socialisti non vedevano di buon occhio l’alleanza con le femministe.
Fu tuttavia proprio una socialista Corinne Brown che nella conferenza del partito a Chicago nel 1908, denunciò a gran voce non solo lo sfruttamento delle operaie ma le discriminazioni sessuali a cui erano soggette. E fu lo stesso partito che nel 1908 decise di istituire per l’ultima domenica di febbraio del 1909 una giornata di manifestazione per il diritto di voto alle donne.
La prima giornata della donna fu quindi il 23 febbraio del 1909.
Molte sono state poi le giornate dedicate ai diritti del genere femminile.
Finché a San Pietroburgo, l’8 marzo 2017, le donne, in modo simile a come si faceva nelle tribù antiche dei nativi americani, si organizzarono per chiedere compatte la fine della guerra.
Alla Conferenza delle donne comuniste che si svolse nel 1921 a Mosca, per ricordare questo momento memorabile di presa di coscienza e di richiesta politica delle donne, fu stabilito che l’8 marzo si sarebbe celebrata la Giornata internazionale della donna operaia.
L’8 marzo nasce quindi come giornata di rivendicazione dei diritti della donna lavoratrice.
Molto lontano dalla festa farsa dei nostri giorni dove si è perso completamente il valore politico e sociale e si celebra, ai limiti del surreale, la finta libertà e parità di genere con il mazzetto di mimose e le uscite in allegria delle donne tra di loro.
Una festa pop che sottolinea le discriminazioni e le differenze più che abolirle.
Stiamo infatti vivendo storicamente una pericolosa retromarcia su questioni civili ed etiche fondamentali.
Sul lavoro è ancora cosa comune la discriminazione sessuale, le avances di colleghi e datori di lavoro, e gli appelli di diminutio, sprezzanti o svalutativi sulla professionalità, orientati invece all’apprezzamento fisico, che mirano a sottomettere la donna ponendola nella categoria “frivolezza” e “seduzione”.
E in più femminicidi, violenze fisiche e psicologiche, ricatti, vessano le donne nella loro quotidianità, mentre gli argomenti che serpeggiano indisturbati nel dibattito politico pontificano su possibili messe in discussione di diritti inalienabili, come il diritto all’aborto...
Urge un confronto, un dibattito, una riflessione.
E forse la vera riflessione da fare è che una reale parità di genere non si ottiene con l’approccio al linguaggio o in maniera formale.
Dovremmo andare all’origine, alla dimensione profonda dell’essere e iniziare a percepirci come persone molto oltre e molto al di là delle differenze di genere per attivare una rivoluzione anzi un’evoluzione coscienziale e riscoprire la naturalezza elementare della comune identità umana al di là delle apparenti differenze che vanno rispettate come differenze, e si possono rispettare solo nella percezione dell’unitarietà fondamentale.
Da qui e solo da qui può partire il riconoscimento di una parità sostanziale che significa uguale diritto alla vita e all’esperienza e rispetto delle visioni individuali.
Un ritorno a se stessi, la riconnessione con la propria anima profonda, la radice di quanto di bello e di buono esiste, del Kalos e Agathos: da questa connessione interna può partire il recupero dei valori umani, non da un mero approccio esterno.
“Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, scriveva Kant.
E recuperare la morale non è più un compito sociale, ma un frutto di ricerca individuale maturato al fiorire della consapevolezza.