Sabato, 20 Aprile 2024

Il razzismo al tempo dei social

Si è fatto un gran parlare nei giorni scorsi della pallavolista Paola Egonu e del suo essere stata attaccata sui social con accuse di stampo razzista.

Fa parte della deriva dei nostri tempi controversi. Oggi più che mai il razzismo sembra assumere varie coloriture: dallo schierarsi con violenza su una sola posizione, all’aborrire ogni individualità che non sia conformata e omologata, ai toni intrisi di odio e fanatismo.

Viviamo una sorta di cortocircuito cognitivo: da una parte assistiamo all’accendersi di toni sempre più polarizzati e a un certo schierarsi su posizioni difensive e timorose di ogni diversità, dall’altra c’è il proliferare di un politically correct di facciata.

Sembra difficile la comprensione profonda della tematica dell’integrazione che è alla base dell’apertura e della tutela da ogni fondamentalismo.

Imperversano le posizioni violente e cariche di odio sui social, il clima partigiano, le fazioni da barricata, le ideologie accese senza il minimo spazio per il dialogo. O sei a favore o sei contro qualcosa, o sei “in” o sei “out”, e mentre accade tutto questo, in modo alquanto surreale ci si ferma sulla parola e sul suo uso formale, svuotandola di contenuto reale.

Oggi sembra che combattere il razzismo sia usare un certo modo di dire anziché un altro, abolire dal dizionario un sostantivo o un aggettivo, come se il formalmente corretto potesse sostituire l’educazione emozionale al rispetto dell’altro.

Non basta guarire il linguaggio…

Il “non razzismo” non è una pratica formale… è innanzitutto una pratica umana che si regge sull’empatia, sul dialogo, sui sentimenti della solidarietà e della collaborazione.

E, come possono svilupparsi queste qualità della coscienza se siamo continuamente connessi a un monitor, sconnessi da noi stessi e dal nostro sentire, eccitati da presunte lotte ideologiche che ci fanno sentire come nella guerra tra greci e troiani, senza averne né l’etica né l’eroismo, tesi a “vincere” un agone immaginario, a ingigantire l’ego frustrato, e a scaricare sullo schermo quintali di odio e rivendicazione?

Come può guarire una società malata di razzismo, ma in realtà impaurita, sconnessa, e senza più valori, se viene manipolata da una rete che vuole solo che si partecipi al gioco dello schieramento, e da una società che si nutre di spettacolarizzazione e di emozioni esasperate?

La parola deve ritornare viva, intrisa di consapevolezza e di reale sentire, non vuoto concetto fantasmatico. Questo non accade su una rete o se sostituiamo al rapporto vero e fecondo una serie di relazioni virtuali fittizie.

Guarire dal razzismo è guarire la propria vita, rendendola capace di accogliere e non di bandire, riconnettersi alla propria coscienza e non essere più bandiere alla deriva, vittime di influencer, fake news e chiacchiericcio social.

Guarire dal razzismo è guarire la relazione umana e le proprie emozioni di penuria, di paura, di infelicità.

 

Homo sum humani nihil a me alienum puto, sono un uomo, niente di umano mi è estraneo, scriveva il commediagrafo latino Terenzio.

Serve ritornare all’humanitas antica, guardarsi negli occhi, stringersi in un abbraccio, vedere riflesso nello sguardo altrui Agàpe, l’amore compassionevole…

Solo così l’Altro, di qualunque genere, di qualunque pelle, ritorna a essere fratello e non nemico immaginario, proiezione dei propri fantasmi interiori negati.

Chiara Tortorelli
Author: Chiara Tortorelli
Creativa pubblicitaria, editor e scrittrice, vive a Napoli dove inventa nuovi cultural life style: come presentare libri in maniera creativa e divergente, come scrivere i libri che ti piacciono davvero, come migliorare la creatività e il benessere personale con metodologie a metà strada tra stregoneria e pensiero laterale. Il suo ultimo libro è “Noi due punto zero” (Homo Scrivens 2018). Cura per Napoliclick la rubrica “La Coccinella del cuore”.

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