Le ragazze e il coraggio di disobbedire
L’immagine è virale: una giovane donna cammina in mutande e reggiseno e intorno a lei uomini al telefono e donne velate fino ai piedi.
Il video e le foto girano su tutti i social e per una volta a diventare virali non sono le urla sguaiate di Rita De Crescenzo o i falò di confronto di Temptation Island.
Ma perché questa giovane donna è diventata simbolo di lotta e di libertà?
Si chiama Ahou Daryaei e la si vede prima sedersi su un muretto e poi camminare seminuda in un cortile.
Siamo in Iran all'Università Islamica Azad di Teheran e il video termina con la giovane studentessa che viene caricata con forza in una macchina.
Intorno all’accaduto ci sono due versioni contrastanti.
La prima arriva da un movimento studentesco iraniano: la giovane è stata aggredita più volte da alcuni agenti di sicurezza perché non indossava correttamente il velo islamico e per protestare contro gli obblighi imposti alle donne - tra cui quelli di coprirsi la testa con un velo e di indossare abiti larghi quando si è in pubblico - lei si sarebbe spogliata andando in giro tra le persone con i capelli sciolti.
La seconda, manco a dirlo, arriva dal ministro iraniano della Scienza, Hossein Simai Saraf, che non solo ha definito immorale la pubblicazione dei video ma che ha anche affermato che la ragazza “soffre di problemi psichici ed è stata un'ottima idea trasferirla in ospedale e non in un centro di detenzione”.
È difficile credere alla versione della “pazza seminuda” e anche il quel caso il ricovero coatto sembra alquanto esagerato.
Siamo più verosimilmente di fronte ad un gesto simbolico e potente in un paese che utilizza la prassi del ricovero psichiatrico per delegittimare gli atti di protesta che negli ultimi anni si stanno intensificando considerata la situazione difficile specialmente in merito ai diritti delle donne.
Dopo la rivoluzione islamica del 1979 e con la presa del potere da parte dell’ayatollah Ruhollah Khomeyni ha avuto inizio la svolta repressiva ai danni delle donne.
Assieme all’obbligo di indossare l’hijab – il velo islamico- le donne e le ragazze iraniane devono sottostare a una serie di restrizioni che sono davvero inaccettabili.
Possono, per esempio, indossare i jeans (a patto che non siano aderenti) e le gonne (a patto che arrivino alla caviglia), possono truccarsi ma senza eccedere.
Le donne non hanno il diritto di cantare (se non sono accompagnate in un duetto da un uomo), non possono ballare e non possono viaggiare all’estero da sole.
In base al Codice civile, il marito può impedire alla moglie di svolgere determinate professioni se le ritiene contrarie ai “valori della famiglia”.
Le ragazze possono sposarsi già a 13 anni e non esistono leggi sulla violenza domestica.
In Iran in questo momento quindi può capitare quindi che una ragazza possa essere fermata dalla Polizia morale o per un outifit considerato poco adeguato o solo perché non ha indossato bene il velo.
Chi lotta o si oppone alle regole “morali” viene “intercettata” da questi agenti di polizia morale che spostandosi in camionette blindate caricano, arrestano e torturano le donne che violano le regole imposte.
Mahsa Amini, una giovane donna iraniana, è morta il 16 settembre 2022 dopo essere stata arrestata dalla polizia morale in Iran. Era accusata di non aver indossato il velo in modo conforme alle norme iraniane.
Nasrin Sotoudeh è un'avvocata iraniana, arrestata e condannata a una lunga pena detentiva per accuse legate al suo attivismo politico.
E allora che valore ha quel video che guardiamo distrattamente sui nostri cellulari?
Qual è la portata simbolica di quella studentessa che cammina in mutande e reggiseno?
Quella foto diventa un validissimo strumento di comunicazione, capace di riassumere in pochi pixel sentimenti, esperienze e richieste di cambiamento.
C’è dentro una narrazione potente che ha la forza di ispirare ragionamenti e mobilitare persone attorno a cause significative.
È importante, quindi, che chi consuma e condivide contenuti online faccia uno sforzo consapevole per attraversare la superficie delle immagini e comprendere il significato e il contesto di ciò che viene condiviso.
Farsi delle domande, provare a ragionare e a formulare ipotesi.
Provare in qualche modo a trasformare la viralità e le foto condivise sui social in una forza positiva per il cambiamento.
Lo dobbiamo a Nasrin, a Ahou e a tutte le ragazze del mondo che hanno il coraggio di disobbedire.