I presepi e l’arte relazionale di Marina Lai al Museo di San Martino
Una piccola mostra dedicata ai suggestivi presepi di Maria Lai, una delle più importanti artiste italiane del secondo Novecento, alla quale la città partenopea non ha mai dedicato una personale.
Proposta dalla Direzione regionale Musei della Campania, in collaborazione con l’Archivio e Fondazione Maria Lai, “Un filo nella notte” è curata da Marta Ragozzino: l’esposizione è ospitata negli spazi del Museo e Certosa di San Martino, vicino alla sezione presepiale, che raccoglie i tesori della tradizione napoletana.
In uno speciale e dedicato spazio avvolgente, la mostra racchiude una pausa silenziosa nel percorso di visita del Museo, che proprio a Natale attira visitatori e appassionati dell’arte presepiale, alcuni tra i più rappresentativi e originali presepi d’artista realizzati da Maria Lai nel corso della sua lunga e intensa attività, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, quando l’artista diede forma alle prime composizioni dedicate alla Natività in juta e terracotta.
Da allora il presepe, nelle sue diverse declinazioni, sempre caratterizzate da un’incantevole essenzialità e da una profonda, quasi spirituale, riflessione sul vuoto e sull’assenza, che restituisce, nel lessico scelto da Lai, il mistero del sacro è stato uno dei temi centrali della ricerca dell’artista sarda, che da giovane fu allieva di Arturo Martini.
Fondamentale nella declinazione del tema, l’utilizzo dei materiali semplici, poveri, talvolta tratti dalla vita quotidiana, come sempre nella poetica di Lai, come la juta o la terracotta dei primi presepi, ma anche i sassi, il legno, il pane, sui quali, nel tempo, l’artista interviene, componendo e scomponendo anche taluni presepi già creati, e recuperandone le figure in nuove, e spesso ancor più essenziali, composizioni.
L’arte che attiva il dialogo
Materiali sempre cuciti, o tessuti, o comunque connessi, perché l’arte è connessione e raccordo, l’arte attiva dialogo, permette di entrare in relazione. Per Lai, l’arte non è nell’oggetto, nella fisicità dell’opera, o dei personaggi del presepe, che spesso rappresenta un cammino, un percorso di avvicinamento, bensì è nell’altrove, nella realtà che sta dietro all’apparenza, nel vuoto che trascende la dimensione fisica. Con personaggi essenziali, spesso ricondotti a figure quasi geometriche, fuori da grotte o capanne, sempre sotto la volta del cielo stellato, attratti e orientati da un filo nella notte, che è quello della stella cometa (che diventa una spiga di grano), i presepi di Maria Lai, e i libri delle profezie, cuciti, legati e intessuti di fili, o la “calligrafia” dei 2000 Natali di guerra, che ci richiama all’oggi, riportano il sacro nella vita di ciascuno di noi.
Per l’artista, infatti, l’arte è assimilata alla vita, ne incarna fragilità e potenzialità e allo stesso tempo connette razionale e irrazionale, visibile e invisibile, comprensibile e misterioso. Come il Presepe. Che è teatro, messa in scena e clamore ma allo stesso tempo mistero, rarefazione e silenzio. La mostra si inserisce a pieno titolo nella programmazione del Museo di San Martino, sito molto visitato e ricercato nei mesi invernali proprio per la presenza della sezione presepiale, nell’ambito della quale trovano speciale cornice le opere semplici e intensissime dell’artista sarda, capaci di evocare e attualizzare, nel dialogo con gli ornatissimi elementi del presepe tradizionale napoletano, il mistero della nascita e il bisogno di spiritualità ma anche di pace e libertà del nostro tempo inquieto.
L’arte relazionale di Marina Lai
Maria Lai è nata nel 1919 a Ulassai. Fin da bambina mostra uno spiccato talento artistico e ha l’opportunità di avere contatti con il mondo dell’arte (posa per Francesco Ciusa per un ritratto della sorellina scomparsa). Pochi anni dopo, la famiglia decide di iscriverla alle scuole secondarie a Cagliari, dove conosce Salvatore Cambosu, che per primo scopre la sua sensibilità artistica. Nel 1939 si trasferisce a Roma per frequentare il Liceo Artistico e, una volta completati gli studi, parte alla volta di Verona e poi a Venezia, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti, in cui ha la possibilità di seguire le lezioni di Arturo Martini. Rientra in Sardegna, non senza difficoltà, nel 1945. Qui riprende l’amicizia con Salvatore Cambosu e insegna disegno nelle scuole elementari di Cagliari. Ritorna a Roma nel 1956 e, l’anno successivo, alla galleria L’Obelisco, tiene la sua prima personale. Nel 1971, presso la Galleria Schneider di Roma, espone i primi Telai, un ciclo che caratterizza i dieci anni successivi e l’avvicina ai temi dell’arte povera, mentre negli anni Ottanta si dedica alle prime operazioni sul territorio che le varranno gli esiti più significativi della sua opera. Nel 1981 realizza a Ulassai l’operazione corale Legarsi alla Montagna, suo capolavoro, che anticipa i temi e i metodi di quella che sarà definita, solamente nel 1998, dal critico d’arte Nicolas Bourriaud come “arte relazionale”. A partire dagli anni Novanta dà vita a una serie di interventi di arte pubblica che, grazie a una visione programmatica, riusciranno, nel tempo, a trasformare Ulassai, suo paese natale, in un vero e proprio museo a cielo aperto, che trova la sua massima espressione nella “Stazione dell’Arte”, museo di arte contemporanea a lei dedicato. Il 16 aprile 2013 si spegne a Cardedu all’età di 93 anni.
La mostra potrà essere visitata fino al 19 marzo 2023.